Stati Uniti, la rinascita delle cooperative
Stati Uniti, la rinascita delle cooperative

Viaggio nelle coop americane attraverso la storia della Park Slope Food Coop di New York. Il movimento cooperativo negli Usa ha origini lontane. Segue …

Con la crisi, negli Stati Uniti, si è assistito a una rinascita del cooperativismo. Una linea di tendenza riscontrabile anche in molti paesi europei. Non a caso, le Nazioni Unite hanno dichiarato il 2012 “anno internazionale delle cooperative”.

Eppure il movimento cooperativo negli Stati Uniti ha origini lontane ed è strettamente legato a quello sindacale. L’apice si ebbe quando the Knights of Labor, la più grande organizzazione lavorativa dell’800, arrivò a coordinare circa 200 industrie gestite in modo cooperativo. L’ambizione più grande era quella di estendere un controllo democratico sull’intera produzione statunitense, finché non si fosse trasformato il paese in quello che veniva chiamato Cooperative Commonwealth. Si intendeva così abolire la schiavitù dal salario e realizzare quelle promesse di uguaglianza, libertà e democrazia che erano alla base della nazione americana. L’economia americana prese tutt’altra direzione, ma ancora durante la Grande Depressione e la risposta del New Deal, le cooperative ebbero un ruolo importante. Dopo la Seconda guerra mondiale, tuttavia, la maggior parte delle cooperative venne spazzata via durante il maccartismo. Il movimento riprese poi negli anni 70, nell’epoca della controcultura e della contestazione.

Le coop dei nostri giorni sono state brave a intercettare un tema caro a sempre più persone: l’alimentazione e il taglio dei costi. Il desiderio di un’alimentazione più sana si è diffuso notevolmente anche per una maggior informazione rispetto ai danni provocati alla salute dal cibo spazzatura. Le cooperative alimentari negli Stati Uniti sono oggi migliaia; molte hanno alle spalle una storia decennale, e mentre alcune si sono adeguate maggiormente al mercato, altre hanno conservato un’attitudine “radical ”.

A New York le Cooperative alimentari sono quattro. La Park Slope Food Coop, al 782 di Union Street, Brooklyn, è una di quelle storiche. Nata per iniziativa di un gruppo di ventenni, è cresciuta con gli anni fino ad arrivare a contare circa 16.000 iscritti. Per contenere il numero dei membri, ai quali soltanto è permesso fare acquisti, la procedura di ammissione è piuttosto lenta. Nel frattempo il quartiere intorno è cambiato a ritmi vertiginosi, essendo Park Slope un esempio emblematico di gentrification: non più quartiere operaio, oggi la popolazione è in maggioranza composta da giovani famiglie bianche di professionisti benestanti e i prezzi delle case sono alle stelle data la facilità di raggiungere Manhattan con la metropolitana.

 

«La Coop ha aperto nel febbraio del 1973 – ci racconta Joe Holtz, uno dei fondatori e attualmente general manager dell’azienda -. Alla fine degli anni 60 e nei primi anni 70, c’erano molti movimenti negli Stati Uniti, il più grande dei quali era probabilmente quello contro la guerra in Vietnam. C’era un grande movimento per i diritti civili, al cui interno sorsero le rivendicazioni per l’emancipazione della donna e per i diritti dei gay. Molte persone, come me, iniziarono ad andare alle manifestazioni e smisero di credere a ciò che veniva loro raccontato. Lo stesso è avvenuto per il cibo che veniva pubblicizzato. Iniziammo a mangiare cibo migliore, a evitare il cibo con ingredienti artificiali, chimici. Imparammo a cucinare. A differenza dei nostri genitori, iniziammo a cucinare molte verdure, grandi insalate».

 

«Nel 1970 – racconta ancora Holtz -, nacque il movimento ecologista, con la “giornata della terra”, the Earth Day. Credo che almeno duemila cooperative alimentari nacquero in quel periodo in tutti gli Stati Uniti. Lavorare insieme era il nostro scopo, perché la società era eccessivamente basata sulla lotta per il successo individuale. Non c’è niente di male in questo, ma c’è bisogno anche di istituzioni comunitarie per ottenere il successo insieme. Quindi la coop era una cosa naturale anche se allora non ne capivamo molto bene i principi. Per noi cooperazione significava gente che lavorava insieme per realizzare qualcosa di meglio per la comunità e per se stessi allo stesso tempo. Dal momento che il cibo che volevamo mangiare costava più di quanto volessimo pagare, pensammo di rivolgerci direttamente ai fornitori, gli agricoltori, e aprimmo noi un negozio. Il presupposto fu: “possiamo fare qualsiasi cosa”, “we can do anything”».

Come mai decideste di aprire una coop proprio nel quartiere di Park Slope?
«All’epoca Park Slope era un quartiere molto attraente per i giovani che non avevano molti soldi, non era un quartiere caro. Sono cresciuto in un’altra zona di Brooklyn, Sheepshead Bay, dove vivono i miei genitori, una zona che allora era più cara. Ora è più caro Park Slope. In effetti è un ottimo quartiere, servito da diverse linee di metropolitana. E’ vicino a Prospect Park, la Brooklyn Public Library, il Brooklyn Museum e il giardino botanico. All’epoca era pericoloso, c’erano più crimini, ma non ci importava. C’erano molti appartamenti dagli affitti bassi e buoni da dividere per molti giovani come noi che non erano nati qui. All’inizio vivevo con tre amici. Park Slope era la zona dove i giovani che vivevano per conto loro si ritrovavano».

 

E’ cambiata negli anni la tipologia sociale dei membri della coop?
«All’inizio eravamo tutti giovani, tra i 22 e i 25 anni. Ora c’è gente di tutte le età. C’è stato anche un ricambio generazionale, che ha permesso alla coop di andare avanti. Ora c’è anche una varietà di gente con redditi diversi ma è solo la mia opinione, non abbiamo dei dati certi. So che la maggior parte degli iscritti abita nel quartiere, anche se alcuni vengono da più lontano apposta per comprare alla coop».

Quella di Park Slope è la coop più grande degli USA?
«Nel suo genere sì, tra quelle che richiedono ai propri membri di lavorare. Ma non in generale. A Seattle c’è un Coop che gestisce nove negozi. Nel New Hampshire ce ne è un’altra che ha tre o quattro negozi. Ma queste seguono un sistema differente, vendono al pubblico».

Tutti i membri della coop hanno la possibilità di discutere qualsiasi decisione? Quali sono stati gli argomenti di maggior dibattito?
«La prossima settimana andremo a discutere un tema davvero importante. Il boicottaggio dei prodotti provenienti da Israele. Credo che un buon socio si debba giudicare dalla sua partecipazione, dal suo condividere tempo e denaro. Tra i principi internazionali della cooperazione, c’è il rifiuto di qualsiasi discriminazione di genere, sociale, razziale o politica. In passato abbiamo boicottato il Cile, il Sudafrica durante l’Apartheid, il Colorado per le sue leggi contro i gay. Negli anni 70 boicottammo l’uva della California, durante lo sciopero degli United Farm Workers (UFW) guidato da Cesar Chavez. Abbiamo avuto il 90, 100 per cento di consensi da parte dei nostri membri durante questi boicottaggi. Ma questa discussione riguardante Israele è diversa, creerà molte spaccature. Avrei voluto che non fosse stata sollevata, ma il nostro è un sistema democratico e chiunque può porre una questione».

Attualmente quali prodotti boicottate?
«Non vendiamo Coca Cola e altre bibite prodotte dallo stesso marchio, come Nestea e Minute’s Maid, per il trattamento riservato ai rappresentanti sindacali in Colombia e per problemi legati alle riserve di acqua in India. Inoltre boicottiamo un’industria locale, Flaum Appetizing, da cui acquistavamo humus, perché ha licenziato illegalmente i suoi lavoratori» (di Emilia Morelli).

 
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