“Non bisogna vincere ma convincere” diceva Basaglia, ma ho sempre pensato che non si riferisse all’azione pedagogica del convincimento attraverso la parola, ma alludesse al fare empatico nelle pratiche collettive (…). Di Giovanna Del Giudice.
Si può cancellare un servizio che mette al centro la dignità dei sofferenti mentali?
di Giovanna Del Giudice*
Qualificare l’habitat, aumentare l’accessibilità, ampliare la rete dei servizi, decentrare gli interventi nei luoghi di vita delle persone, avere come priorità il supporto ai soggetti con disturbo mentale severo e ai loro familiari, contrastare la frammentarietà delle risposte, progettare il percorso di cura insieme alla persona con sofferenza, garantire la presa in carico nel rispetto della dignità e dei diritti, diminuire il ricorso al trattamento sanitario obbligatorio, assicurare la continuità ospedale-territorio, garantire la salute mentale dei detenuti, avviare progetti individuali finalizzati alla dimissione dei cittadini sardi dagli ospedali psichiatrici giudiziari, diversificare le risposte, personalizzare gli interventi anche attraverso risposte abilitative, di inclusione sociale, di formazione ed inserimento lavorativo in sinergia con l’associazionismo e la cooperazione sociale, istituire piccoli gruppi di convivenza di abitare assistito sono state le azioni e le linee di tendenza che hanno informato il lavoro di salute mentale in Sardegna e in particolare nel Dipartimento di Salute Mentale di Cagliari dal 2006.
Ma ci piace ricordare principalmente tre questioni; l’apertura dei Centri di Salute Mentale sulle 24 ore con posti letto per l’accoglienza, l’esperienza di ‘Clara Libera’, la diminuzione verso l’abolizione della contenzione fisica nei Servizi psichiatrici di diagnosi e cura.
Il Centro aperto 24 ore, regista della salute in un territorio definito, è il luogo nella comunità dove la persona con esperienza di malattia e la sua famiglia possono sperimentare l’incontro, percorsi di ricostruzione di identità, senso e potere in un tempo non scandito dalle necessità del ricovero ospedaliero e in un habitat connotato da una architettura del ‘ritorno alla vita’ colori, luce, arredi della quotidianità. E gli operatori sperimentano una conoscenza dell’altro con sofferenza, ma anche del proprio agire terapeutico, fondata su l’incontro con il soggetto nella sua interezza di bisogni e di espressività.
Luogo di scambi che si articola in ambulatori, ma anche in spazi per attività, dove sviluppare competenze ed aumentare opportunità, dove trascorrere alcun tempo in maniera consapevole e con significato, per contrastare isolamento, l’ abbandono e l’ozio non scelto, ma anche per diminuire il carico familiare. ‘Clara Libera’, programma intenso di manifestazioni culturali dal settembre 2008 al febbraio 2009, è stata la restituzione alla città del parco dell’ex ospedale psichiatrico di Villa Clara come luogo di affermazione e non di negazione della cittadinanza, ma anche attività di prevenzione primaria, di discussione con la comunità sui temi della diversità, dell’inclusione, dei legami solidali.
La diminuzioni della contenzione fisica, già ordinaria e routinaria, la sua abolizione nel secondo Spdc, è simbolo del rispetto e della dignità riconosciuta all’altro, della rottura del paradigma della incomprensibilità, della incurabilità e pericolosità della persona con disturbo mentale, ma anche di un lavoro territoriale consapevole, articolato, costante di progettazione, supporto e cura. Tutto questo è avvenuto e sta ancora avvenendo in una situazione di resistenze e di scontro, che non vogliamo silenziare. Non scontro ideologico ma diversa visione del soggetto con malattia, differenza nelle pratiche concrete dei percorsi di cura. Ed insieme scontro sull’egemonia del modello medico, sulla centralità del modello ospedaliero, sulle false certezze della psichiatria, sul potere.
Se questo era in gioco, sarebbe stato possibile altrimenti far emergere le volontà di cambiamento di tanti, prima di tutte le persone con esperienza di malattia e i loro familiari? Il tentativo di riportare tutto alla questione del modello imposto appare plausibile? Il modello manicomiale era mai stato rigettato perché importato?
Si continua a parlare di ‘pacificazione’, ma di quale pace si parla, in quale ambito vogliamo la pacificazione? E certamente non può essere solo fra i professionali, lasciando fuori le persone con disturbo mentale, le famiglie, la comunità.
“Non bisogna vincere ma convincere” diceva Basaglia, ma ho sempre pensato che non si riferisse all’azione pedagogica del convincimento attraverso la parola, ma alludesse al fare empatico nelle pratiche collettive, all’azione che trasforma e produce cambiamento per tutti. In questa direzione abbiamo operato e tanti ancora in questo territorio continuano ad operare.
* ex direttore Dipartimento di Salute Mentale della Asl 8
Fonte: L’altra Sardegna