Per l’interesse della sua “schietta” ricostruzione della vertenza della Carbosulcis, invitiamo alla lettura di un testo di Michela Murgia. Ringraziamo l’autrice.
"In questo mattino di pioggia lieve, mentre l’estate si affloscia come una vela senza più vento, c’è un passato peggiore del presente da ricordare. Cento e otto sono gli anni trascorsi dall’eccidio di Buggerru, la carneficina che il 4 settembre del 1904 fece perdere la vita a quattro minatori sardi nel tentativo di annichilire la giusta protesta di tutti gli altri. Voglio ricordare i loro nomi: si chiamavano Francesco Littera, Salvatore Montixi, Giovanni Pilloni e Giustino Pittau. Il più vecchio aveva 36 anni e il più giovane lasciava la moglie incinta di otto mesi. Furono uccisi su ordine del direttore della miniera, che fece affogare nel loro sangue la richiesta comune di condizioni di lavoro meno disumane. Voglio ricordare il nome di quel direttore: Achille Geordiades, greco di Costantinopoli, che aveva trasformato Buggerru in una piccola Parigi di provincia riservata ai dirigenti, mentre i 2500 operai sardi della miniera lavoravano sottopagati e abitavano capanni di lamiera senza servizi igienici. I minatori morivano di fatiche, di silicosi e di malattie infettive, eppure Achille Geordiades diede ordine ai soldati di sparargli ad altezza d’uomo perché non volevano lavorare un’ora in più. I soldati che obbedirono a quell’ordine infame appartenevano a due compagnie del 42° reggimento di fanteria di stanza a Cagliari e quell’esercito era sotto il controllo del governo Giolitti: anche questo voglio ricordare. Lo devo a me stessa, al mio presente e anche a mio nonno Francesco Marongiu, che è stato in miniera fino alla sua morte.
Che le miniere sarde abbiano una storia di sangue voluta dall’alto è una cosa evidente, più che mai oggi che i minatori della Carbosulcis sono protagonisti di un’altra protesta, l’ennesima, fatta per chiedere l’impossibile permanenza di un’industria che ha finito i suoi giorni utili ormai da diversi decenni. Lo so, non bisogna dirlo: ci sono le loro famiglie disperate. Non si può sostenere che la miniera debba chiudere: perderanno il lavoro, cioè la garanzia della sopravvivenza. Invece dirlo è necessario, perché la responsabilità della memoria di Buggerru impone anche di chiamare per nome le scelte scomode che nessuna politica ha avuto il coraggio di fare negli ultimi cento e otto anni. Ma anche fermandosi agli ultimi venti, quelle scelte non le ha fatte certo il deputato sulcitano con l’elmetto che oggi è convinto di capitalizzare consensi facendosi fotografare con gli occhi sbarrati accanto a chi la giornata se la lavora davvero. Non le ha fatte nemmeno il presidente della regione Ugo Cappellacci, che in quattro anni ha cambiato quattro assessori all’industria e che meno di un anno fa ha nominato direttore della Carbosulcis un 28enne figlio di papà politico i cui unici titoli erano una laurea telematica e una specializzazione in gestione delle portinerie. Però quelle scelte – e questo va detto con chiarezza – non le ha fatte neppure la gente del Sulcis quando ha eletto questi incompetenti con il 56% delle preferenze, dimenticandosi che il futuro comincia dal voto responsabile: i politici hanno colpe oggettive, ma qualcuno li ha eletti. Anche ricordare questo è necessario.
Nella sostanza della protesta, i minatori hanno ragione: la precarietà della loro esistenza non è dipesa dal loro lavoro, ma da scelte industriali errate che lo hanno marginalizzato fino alla dispensabilità. C’era un percorso politicamente responsabile da fare, ma andava imboccato vent’anni fa, esattamente quando l’ENI abbandonò l’investimento minerario perché poco conveniente. Il percorso prevedeva due passaggi congiunti, indispensabili uno all’altro e caratterizzati da una visione progettuale assai rara da trovarsi nella classe dirigente sarda. …" Segue …
Fonte: Newsletter di Michela Murgia
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