Una risorsa oscura ma determinante per le sorti dell’economia ittica. Dopo il riconoscimento del diritto alla maternità ora le donne rivendicano il ruolo di “coadiuvanti dell’impresa ittica”.
Nella pesca, settore storicamente maschile, dove rischi, fatica e malattie professionali richiedono notevole resistenza e spirito di sacrificio, le donne hanno sempre trovato difficoltà ad entrare ed affermarsi anche se il loro lavoro si rivela determinante.
L’ipoacusia (riduzione dell’udito), per la continua esposizione ai rumori dei motori, le malattie osteo-articolari, le dermatiti, costituiscono un forte deterrente affinché un giovane o, soprattutto, una giovane possano pensare alla pesca come possibile sbocco professionale. Spesso, però, le mogli dei pescatori presentano proprio queste patologie e questo la dice lunga sul loro reale ruolo in un settore nel quale la presenza femminile risulta numericamente trascurabile.
Basti pensare che nell’intera UE, la componente femminile nella forza lavoro si attesta in media sul 3%, mentre un numero sempre maggiore di donne è occupato nell’acquacoltura (27%), nella trasformazione (oltre il 50%) e nel segmento gestione e amministrazione dove le donne rappresentano il 39%. In realtà, però, sono tante le donne che a titolo volontario e senza retribuzione né forme di tutela contribuiscono ufficiosamente, ma in modo determinante, alla gestione delle imprese di pesca. Il lavoro delle donne nella piccola pesca rappresenta un elemento estremamente importante per la sostenibilità economica delle imprese, soprattutto se si considera che questo segmento di pesca costituisce quasi il 70% dell’intera flotta nazionale. Quando non direttamente coinvolte a bordo nell’attività di cattura, la vendita del pescato, la riparazione delle reti, la cura degli adempimenti fiscali e previdenziali, sono incombenze che vanno ad aggiungersi alla gestione dell’economia domestica.
È recente l’estensione dell’indennità di maternità alle “pescatrici” autonome della piccola pesca marittima e delle acque interne. Lo stabilisce il D. L. n. 216/2012, riconoscendo loro un diritto finora spettante alle lavoratrici autonome, coltivatrici dirette, mezzadre e colone, artigiane ed esercenti attività commerciali e alle imprenditrici agricole a titolo principale.
“Era ora. I benefici della maternità e del congedo parentale rappresentano senz’altro un passo avanti. Andrebbe però compiuto ancora un piccolo passo e vedere adeguatamente e pienamente riconosciuto il contributo che il lavoro femminile svolge a sostegno delle imprese di pesca. Andrebbe cioè riconosciuto il contributo di donne che, come me, hanno dedicato tutta la propria vita alla pesca, ma il cui lavoro a fianco dell’impresa familiare rimane ancora oggi sommerso”. Questo è il pensiero di Angela Sarpieri, ‘storica’ pescatrice della marineria di Bellaria Igea Marina, una donna che lavora in questo settore dagli anni ’70, da quando, dopo aver sposato un pescatore, ha abbandonato il lavoro da segretaria per aiutarlo nell’attività familiare.
“Il lavoro di noi donne non solo non è retribuito, ma non è coperto nemmeno da tutele basilari come la malattia o l’infortunio – continua Angela – e non lo dico tanto per me, che ho avuto tre figli, e con tutte le difficoltà che hanno comportato me la sono dovuta sempre cavare da sola, quanto per le più giovani generazioni di ‘mogli di pescatori’ cui malattia, infortunio e maternità farebbero oggi ben comodo, considerato anche quanto sia difficile intraprendere e portare avanti il lavoro”.
Oggi, secondo Angela, è quindi necessario un salto di qualità nel definire l’occupazione femminile nella pesca.
“Le donne devono essere considerate soggetti attivi nell’imprenditoria ittica, la loro professionalità deve essere sostenuta e sicuramente un primo obiettivo fondamentale è quello di portare a galla e riconoscere il loro lavoro ‘sommerso’, come lo è stato il mio per più di 30 anni. E’ urgente affrontare questo problema, – conclude Angela – comune a migliaia di ‘donne della pesca’ in Italia, per arrivare a definire e riconoscere il ruolo giuridico delle donne della pesca come ‘coadiuvanti dell’impresa ittica’, come già accade per l’agricoltura. È in questo senso che la Cooperativa “Marinara”, di cui faccio parte, la Lega Pesca cui siamo associati e l’Ente di formazione Cesvip-Formare, si stanno impegnando. Quello sì che sarà un vero traguardo”