In Italia rischio poverta? superiore a media europea
In Italia rischio poverta? superiore a media europea

Secondo gli ultimi dati, aggiornati a giugno 2009, il fattore di rischio povertà è del 20%, a fronte del 16%. Peggio del nostro paese c è solo la Lettonia. Marsico (Caritas): Non abbiamo misure nazionali di contrasto alla povertà

Secondo gli ultimi dati Eurostat (giugno 2009), l Italia ha un fattore di rischio povertà del 20%, contro la media europea del 16%. Peggio del nostro paese c è solo la Lettonia. Tutti gli altri, e quindi anche Romania, Slovacchia e tutto l Est europeo, sono un gradino più su nella classifica. "L Italia è un paese che non ha misure nazionali di contrasto alla povertà", ha sostenuto Francesco Marsico, vicedirettore della Caritas e coautore, insieme ad Antonello Scialdone dell Isfol, del volume "Comprendere la povertà. Modelli di analisi e schemi di intervento", durante la sua presentazione oggi a Roma (Maggioli editore). "E le misure di sostegno esistenti, il cosiddetto reddito d inserimento minimo o reddito minimo garantito, sono correttivi che dipendono, su trasferimenti di fondi statali, dalle singole regioni", ha commentato Ernesto Somma, docente di Economia all università di Bari. "Ma così facendo si crea il problema della perequazione nella distribuzione della ricchezza". Se l incidenza della povertà in Italia è sempre la stessa (dal 2005 al 2007 è sempre stata, secondo i dati Istat, dell 11%) e il Sud è sempre stato più povero, le sacche di povertà sono però aumentate solo al Nord (sono passate dal 4,5% nel 2005 al 5,5% nel 2007), mentre nel Mezzogiorno sono diminuite.

Ma chi sono i poveri? Quanti sono e quanto sono poveri? E soprattutto come si misura la povertà? Per cercare di dare una risposta a questi interrogativi, e fornire allo stesso uno strumento che tenti di orientare gli operatori sociali nel mare degli indicatori statistici esistenti, Caritas e Isfol hanno dato vita a questo manuale tecnico – "Comprendere la povertà. Modelli di analisi e schemi di intervento" -, fatto di approcci analitici ed esperienze concrete, che non considera solo i dati dell Istat sui consumi o della Banca d Italia sui redditi ma che prende in considerazione anche i punti di vista dei centri d ascolto parrocchiali. Ma perché parlare di numeri per affrontare il discorso povertà? Perché la povertà "va prima capita e poi misurata", ha detto Consuelo Corradi, docente di Programmazione dei servizi sociali alla Lumsa di Roma. "La statistica dovrebbe essere alla base delle strategie politiche – ha commentato Giovanni Sgritta, docente al dipartimento di Studi sociali dell università La Sapienza di Roma -. C è bisogno di quantificare per intervenire. Ma, nella confusione degli indicatori, la non chiarezza dei dati rischia la paralisi dell azione sociale da parte dello Stato". Altro problema è la scarsa tempestività dei numeri: "i dati non escono mai in tempo utile; ora ad esempio siamo in piena crisi economica e i dati Istat sulla povertà sono aggiornati al 2007-2008". Non si tratta, comunque, solo di interventi statali: "c è bisogno anche di indicatori per valutare l efficacia delle strategie politiche", ha aggiunto infine Somma.

 

 

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