E? nata Rigas
E? nata Rigas

Il 5 giugno a Roma, per iniziativa di un’ampio cartello di movimenti, associazioni e sindacati attivi sui temi del cambiamento climatico, è stata costituita Rigas – Rete italiana per la giustizia ambientale e sociale. Di seguito il documento costitutivo.

Lo scorso 5 giugno diverse realtà e soggetti in rappresentanza di comitati, associazioni, sindacati, reti sociali di tutto il paese, si sono incontrati a Roma per discutere di come affrontare in Italia quella che è stata definita la più grave minaccia per l’umanità: i cambiamenti climatici. Da qui è nato un percorso per la costituzione della “Rete italiana per la giustizia ambientale e sociale”.

In questo momento sono oltre 600 milioni gli esseri umani che subiscono conseguenze negative dai cambiamenti climatici e centinaia di migliaia sono quelli che già hanno perduto le possibilità stesse di sopravvivenza. A Cochabamba, in Bolivia, lo scorso 22 aprile durante la prima Conferenza Mondiale dei Popoli per la Giustizia Climatica ed i Diritti della Madre Terra i movimenti sociali e la società civile internazionale hanno elaborato una dichiarazione chiamata “Accordo dei Popoli”.È il primo manifesto di questo millennio che cerca di affrontare in maniera completa le responsabilità, le cause ed individuare concretamente misure efficaci per affrontare e risolvere la crisi ecologica della nostra casa comune, la madre Terra. Le proposte in esso contenute, insieme agli spunti emersi a Cochabamba dalla Mesa 18, pienamente da noi tutti e tutte condivise, saranno la base sulle quali ci recheremo a Cancun, in Messico, durante l’ultima settimana di novembre e la prima di dicembre, quando si terrà il prossimo COP 16 (Conference of the Parties) delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici.

Dopo il fallimento vergognoso del COP 15 di Copenaghen, che ha dimostrato tutta l’incapacità dell’attuale “governance” globale ad affrontare le crisi, il prossimo appuntamento potrebbe segnare una tappa decisiva in cui i movimenti e i popoli del mondo devono poter giocare un ruolo centrale. Non possiamo permetterci altri ritardi visto che le ferite inflitte alla  biosfera mettono già adesso seriamente in pericolo l’umanità. Pericoli e catastrofi riassunte in maniera ormai evidente da rilevazioni scientifiche in tutto il mondo. Crisi ambientali e sociali che sono il frutto di politiche e scelte portate avanti dal sistema economico capitalista, responsabile di un collassamento strutturale che investe tutta l’umanità, dal sud al nord del globo. Assistiamo infatti ad una crisi multifattoriale e multilivello: economica, finanziaria, ecologica, energetica, migratoria ed alimentare. Mai prima d’ora l’umanità è stata costretta ad affrontare problemi così complessi ed interdipendenti tra loro.

 

Una crisi globale inedita che è contemporaneamente di sovrapproduzione, almeno per determinati beni (non coperti dai redditi necessari per accedervi) e di sottoproduzione (per tanti bisogni sociali che restano insoddisfatti) e ciò vale sia per il sud del mondo che per i paesi più industrializzati.

 

Per questo non è possibile oggi pensare di affrontare e superare la crisi ecologica ed i cambiamenti climatici generati dal modello capitalista rimanendo all’interno di una lettura parziale e separata dell’ ambiente naturale, come se si trattasse di una questione secondaria e non collegata alla crisi economica, sociale e democratica. Ciò è ancora più  evidente in un paese come il nostro.

 

Crediamo che, mettendo al centro il rispetto per la vita e la natura, sia ancora possibile affrontare e cominciare a risolvere allo stesso tempo tutte le crisi.

Le spiegazioni che nel nostro paese vengono fornite delle crisi, suonano sempre più stonate e falsificanti la realtà, distanti dagli stessi ragionamenti che in molte parti del mondo si fanno per trovare risposte innovative. Come se le posizioni fossero cristallizzate e non si potesse discutere al di fuori dei paradigmi tradizionali: crescita infinita-benessere generalizzato.

Il mantra che continua ad esserci propinato come unica soluzione, è l’idea che la crisi possa essere superata attraverso il rilancio della crescita economica fondata sulla deregulation insieme all’eliminazione di qualsiasi vincolo alla libertà d’impresa e di una sua espansione anche nelle sfere di attività di pubblica utilità una volta gestite dallo stato e che devono continuare a esserlo.

Ma come è possibile sostenere un’idea oramai dimostratasi non solo non vera, ma persino controproducente, contestata anche dai più avveduti economisti mondiali? E’ semplicemente  impossibile immaginare una crescita economica infinita a fronte di un mondo con risorse e beni limitati.  La drammatica crisi ecologica è proprio il riflesso di una posizione dogmatica che continua, però, a guidare la maggior parte delle scelte della politica.

E’ necessario riconcettualizzare la nozione di ricchezza e di benessere. Lo stesso “sviluppo” è  parola “bastarda” – è stato affermato – perché contiene l’equivoco della crescita e la crescita contiene l’idea della accumulazione finanziaria. E’ necessario invece immaginare un altro modello di relazioni economiche che siano contemporaneamente socialmente e ambientalmente sostenibili.

Ciò investe la questione dell’uso più razionale e appropriato delle risorse naturali e culturali e delle fonti energetiche, le tipologie dei prodotti, della mobilità, delle città, dei modelli sociali e degli stili di vita. Insomma, ciò presuppone una capacità collettiva di programmazione, di decisione condivisa su cosa far crescere e cosa invece far decrescere, un modello produttivo e di consumi che sostituisca l’identità basata su ciò che si possiede individualmente, sul valore del “ben vivere” per tutti.

Un obiettivo certo ambizioso, che passa per la riconversione dell’attuale modello di produzione e di consumo prevalente e che non può essere fatto a tavolino con un approccio idealista, tantomeno con imposizioni autoritarie. Se ne esce solo attraverso una progettazione comune di tutti i soggetti che, partendo dalle proprie specificità, hanno la necessità di cambiare lo stato di cose esistenti. E’ necessario tornare a porre la questione del “cosa, come, dove e per chi produrre”.  Ma per modificare sul serio i modelli di sviluppo e i cicli produttivi, servono insieme interventi e competenze esterne e la partecipazione attiva e consapevole di chi opera all’interno dei cicli produttivi, quindi dei lavoratori e delle loro rappresentanze.

Come è possibile lasciarsi guidare dalla mano (in)visibile delle imprese per organizzare e gestire la produzione e la distribuzione di beni e servizi indispensabili per assicurare dignità e coesione sociale tra la popolazione?

Come possiamo pensare di costruire una nuova società del lavoro creativo e scelto senza assumere come obiettivo stesso dello sforzo produttivo sociale la salvaguardia e la rigenerazione dei beni comuni naturali e culturali?

La contrapposizione tra lavoro e ambiente continua a riflettere drammaticamente il fallimento del modello economico dominante e della governance globale che in questi ultimi venti anni ha portato all’aumento degli affamati, degli assetati, dei profughi ambientali, degli impoveriti, dei disoccupati, dei migranti economici, della criminalità e della corruzione… delle guerre. Cosa denunciata anche da  Via Campesina, il movimento mondiale che sostiene il modello di Sovranità Alimentare e organizza e difende i piccoli contadini che producono per il mercato interno, colpiti quotidianamente dalll’Agrobussines delle multinazionali, responsabili di una massiccia produzione di CO2 e dell’impoverimento delle famiglie costrette a Cambiamento climatico e impoverimento non si possono separare. E sarà bene ricordare che le donne pagano un prezzo ancora troppo alto, in termini di violazioni dei diritti,  non ultimo il mancato riconoscimento del lavoro domestico e di cura che grava ancora, in modo inconcepibile, per lo più sulle loro spalle.

 

Siamo convinte/i che solo ponendo queste questioni con la necessaria radicalità si possano avviare altri scenari per uscire dalle crisi. Questa battaglia dovrà trovare il massimo di convergenza tra tutti i movimenti e i soggetti sociali, politici, istituzionali disponibili, partendo già dal prossimo vertice di Cancun.

Vogliamo affrontare la crisi ecologica non con l’idea di “cambiare” il clima ed avviare l’ennesima privatizzazione, questa volta della biosfera, ma impegnandoci a cambiare il “sistema” attraverso una nuova Democrazia della Terra.

C’è una connessione anche in Italia tra l’arroganza e l’autismo della politica classica e la sua incapacità ad opporsi a un sistema antidemocratico e costruirne uno alternativo. Una politica incapace di essere rappresentativa della cittadinanza, passivamente eterodiretta spesso suo malgrado, non disponendo di reali strumenti partecipativi. C’è connessione tra l’aumento della disoccupazione, la precarietà del lavoro e della vita, l’imbarbarimento sociale, la distruzione del nostro spazio bioriproduttivo, l’urbanizzazione selvaggia, le leggi finanziarie classiste che attentano all’unità del paese ed all’impianto valoriale della nostra Costituzione, le privatizzazioni dei beni comuni e delle aziende municipalizzate, la proposta di ritorno al nucleare (grave dal punto di vista della sicurezza ambientale e sanitaria oltre che sconveniente dal punto di vista economico) tagliando contemporaneamente le risorse per lo sviluppo delle energie rinnovabili, l’aumento della corruzione e del potere delle mafie giunte a un livello senza precedenti di penetrazione e collusione col sistema a danno di ogni bene comune, ambiente, sviluppo, lavoro, diritti e cultura. Queste connessioni misurano il fallimento delle proposte politiche in campo per affrontare le crisi.

 

La Rete Italiana per la Giustizia Ambientale e Sociale, sostiene come sia indispensabile per rispondere alle emergenze ed alla deriva della democrazia del nostro paese, lavorare per affrontare i nessi tra vecchie e nuove lotte e mobilitazioni presenti ormai ovunque, con l’obiettivo di costruire un orizzonte comune ed un’altra narrazione della politica, a partire dalla sfida più grande che attende già oggi l’umanità tutta.

Il nostro obiettivo è dunque quello di contribuire a salvare la nostra casa comune, la nostra Terra Madre ed allo stesso tempo dare voce e forza a quella parte del nostro paese che si batte giornalmente per la giustizia sociale ed ambientale, costruendo uno spazio pubblico aperto a tutti i soggetti che sentono propria questa necessità e questa aspirazione di cambiamento.

Nel nostro paese sono tantissime/i le donne e gli uomini impegnate/i giornalmente a difendere i beni comuni, il diritto al lavoro, i propri territori, la possibilità di scegliere criticamente i propri consumi, con stili di vita responsabili e la possibilità di tornare a partecipare alle scelte che incidono concretamente nelle nostre vite.

È per questo che crediamo possibile anche in Italia costruire una “Geografia della speranza” capace di rappresentare oggi l’alternativa concreta in grado di unire il locale al globale ed uscire dalla barbarie alla quale questo modello e questa classe dirigente vogliono condannarci.

Pensiamo quindi opportuno, per estendere ed approfondire il lavoro della rete, proporre per fine luglio un momento di approfondimento e di autoformazione nella città de l’Aquila, colpita dal sisma della mala politica, dalla speculazione e dal mal affare, ma capace con i suoi cittadini di promuovere forme di ricostruzione sostenibile non solo delle case ma del senso stesso della comunità e della democrazia.

 

Così come ci impegniamo a sostenere e promuovere le mobilitazioni contro la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina, costruendo ed analizzando i nessi tra le lotte contro la mafia, le megaopere ed il recupero della parola e del protagonismo sociale dei movimenti e delle nuove soggettività nel sud Italia impegnate nella lunga Marcia della Memoria.

E naturalmente continueremo a sentirci direttamente impegnati nella campagna referendaria per la ripubblicizzazione dell’acqua che ha visto in questi mesi l’emersione di una straordinaria partecipazione popolare in tutti i territori del paese.

Per arrivare a sabato 11 settembre a Vicenza al Festival No Dal Molin, promosso dal Presidio Permanente, ad una grande assemblea nazionale della Rete come momento di incontro orizzontale e partecipato in cui affrontare e decidere le proposte della Rete Italiana per la Giustizia Ambientale e Sociale in vista di Cancun.

ADERISCONO:

Acra, Action Diritti in Movimento (Roma), AltroVe (Altro Veneto), Amig@s Sem terra, Aspem Cantù, A Sud, Attac Italia, Ass. Da Sud, Ass. Italiana Decrescita, Ass. Michele Mancino (Latina), Ass. MISA bioarchitettura e agricoltura rurale APS (L’Aquila), Ass. Prima Persone, Ass. Punto Rosso, Ass. Ya Basta Italia, Audiozone, Brigate della solidarietà attiva, Carta, Casa Internazionale delle donne (Roma), CDCA – Centro Documentazione Conflitti Ambientali, Centro Studi Pax Christi, Cevi, Cittadini Ecologisti, COCIS, Comitato 3e32 L’Aquila, Comitato NO EXPO, Contratto Mondiale Acqua, Co.re.ri. (Campania), Comitato Cittadino per la Tutela delle Risorse Idriche e Ambientali del Territorio di Mazara del Vallo, Coordinamento Campano per la gestione pubblica dell’acqua, Coordinamento per l’acqua pubblica della provincia di Frosinone, Csoa Ex Mattatoio (Perugia), Desr Parco Sud, Eddyburg, FP – Funzione Pubblica CGIL, FIOM CGIL, Fratelli dell’uomo, Focuspuller, Gruppo Come, ICEI, Intervita, Laboratorio Occupato Insurgencia (Napoli), Lo sbarco dei diritti (Genova), No Coke Civitavecchia, No Dal Molin (Vicenza), Organizzazione Lucana Ambientalista, Powos, Presidio pemanente contro la discarica di Chiaiano, Rete @ Sinistra, Rete Internazionale delle Donne per la Pace,  Rete Lilliput, Rete no turbogas Aprilia, Rifondazione Comunista, SEM Sinistra Euro Mediterranea – rete@sinistra, Terremutanti , Terres des Hommes, Trasform Italia!, Unaltralombardia, Unione degli studenti.

Per adesioni  saravegni@asud.net

www.reteambientalesociale.org

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