E’ l’ora di una tassa sulla finanza, di Andrea Baranes
E’ l’ora di una tassa sulla finanza, di Andrea Baranes

Come bucare la bolla finanziaria e trovare risorse per i beni pubblici. Una forma di “Tobin Tax” arriva nell’agenda internazionale. Con il silenzio totale dell’Italia.

Il 2009 è stato l’anno dei vertici internazionali. Dal FMI al G8, dal G20 al Financial Stability Board si sono moltiplicati gli incontri per cercare di elaborare delle regole che potessero evitare il ripetersi di una crisi come quella degli scorsi anni.

Il bilancio di questi vertici è al momento decisamente deludente. La finanza è ripartita come se nulla fosse successo: il mercato dei derivati non è mai stato così attivo, i profitti delle banche sono a livelli record, i top manager di Wall Street si gratificano con bonus miliardari. Al contrario, l’economia reale segna il passo: i tassi di disoccupazione sono ai massimi storici, la ripresa è timida e per molti Paesi ancora lontana, i fondamentali dell’economia segnalano situazioni di grande difficoltà.

Tutto questo ricordando che da una parte è stato proprio il settore finanziario a causare la crisi e a trascinarvi l’economia reale, e che dall’altra i governi occidentali hanno utilizzato somme gigantesche per i piani di salvataggio della finanza. L’ultima stima del Fondo Monetario Internazionale valuta in 7.100 miliardi di dollari il costo complessivo per le casse pubbliche di questi piani di salvataggio. Qualcosa come un sesto del PIL del pianeta, ovvero della ricchezza prodotta nel mondo in un anno, versata in ultima istanza dai cittadini per salvare un sistema finanziario che li ha trascinati nella peggiore crisi degli ultimi decenni.

La situazione non è inaccettabile unicamente su un piano etico o sociale: le conseguenze economiche potrebbero essere devastanti. La finanza è ripartita a pieno regime ma l’economia reale no. Questo significa che si è creato uno scollamento tra il valore delle attività nell’economia reale e quello degli strumenti finanziari. In altre parole, si sta formando una nuova bolla speculativa. Una bolla per molti versi simile a quella che, secondo diversi analisti, è una delle ragioni alla base della recente, catastrofica, crisi finanziaria.

Rispetto alla situazione pre-crisi, ci sono però due differenze sostanziali. Primo: l’economia e il mondo del lavoro oggi stanno molto peggio. Secondo, i governi hanno già sborsato migliaia di miliardi per salvare la finanza, con impatti molto pesanti sui rispettivi conti pubblici. Se scoppiasse oggi una nuova crisi, quali sarebbero le conseguenze per l’economia reale e per le lavoratrici e i lavoratori? Quale Paese avrebbe le risorse per un nuovo piano di salvataggio?

Per questo, i maggiori governi occidentali sembrano impegnati in un delicatissimo esercizio di equilibrismo. Una corsa a ostacoli e contro il tempo per provare a sgonfiare la bolla finanziaria senza farla esplodere, per porre delle regole alla finanza senza spaventare i mercati, per trovare le risorse necessarie a sistemare i propri conti pubblici e per rilanciare l’economia.

Esiste uno strumento che può dare un contributo in queste diverse direzioni. Si tratta della Tassa sulle Transazioni Finanziarie. Una piccola imposta (dello 0,1% o anche inferiore) da applicare su ogni compravendita di strumenti finanziari. Una misura in grado di frenare la speculazione senza colpire le attività di investimento sui mercati e senza impattare l’economia reale. Una proposta in grado di generare enormi risorse da destinare alla tutela dei Beni Pubblici Globali e per ridare fiato alle finanze pubbliche. Un modo per costringere i responsabili della crisi a pagare almeno una parte dei costi. Uno strumento di redistribuzione delle ricchezze su scala globale. Un mezzo per ridare alla sfera politica una possibilità di regolamentazione e controllo di quella finanziaria.

Diversi studi hanno mostrato che non ci sono impedimenti tecnici riguardo una sua implementazione. E’ unicamente questione di volontà politica. Diversi Paesi occidentali stanno lavorando in questa direzione. Gli esecutivi di Francia, Germania e Gran Bretagna si sono espressi a favore. Il dibattito è approdato nelle istituzioni finanziarie internazionali, a partire dal FMI, e nelle istituzioni europee, dalla Commissione al Parlamento.

In questo quadro, spicca il silenzio dell’Italia. Il nostro Paese, dove i mercati finanziari sono relativamente poco sviluppati e dove la piccola e media impresa costituisce la spina dorsale del sistema produttivo, potrebbe trarre enormi vantaggi da una FTT. Invece, in risposta alla crisi, il nostro governo vara i "Tremonti bonds", sottoscritti da una sparuta minoranza di banche. Propone la "Robin Hood Tax", subito finita nel dimenticatoio. Vara i "Global Legal Standard", una meteora nel processo del G8 e G20.

Servono risposte concrete per frenare lo strapotere della finanza e scongiurare una nuova crisi. La Tassa sulle Transazioni Finanziarie è una delle proposte più efficaci e più semplici da implementare. Gli speculatori e gli squali della finanza devono pagare il conto della crisi, non i cittadini e i lavoratori. E’ giunta l’ora che anche l’Italia si impegni a livello internazionale perché questo avvenga nei tempi più brevi.

 

www.sbilanciamoci.info

 

In allegato, un paper di approfondimento sulla FTT

 

Tassa_Transaz_Fin.pdf 623,80 kB

Condividi sui Social Network