Con la firma del presidente ceco, l’entrata in vigore del trattato di Lisbona a dicembre è ormai certa. Ora l’Ue dispone degli strumenti per funzionare al meglio, ma sarà tutto inutile se i suoi leader non cambiano atteggiamento, avverte la stampa europea.
Era ora. Dopo mille ostacoli, senza cerimonie, senza giornalisti né fotografi, il 3 novembre il presidente ceco Václav Klaus ha firmato il trattato di Lisbona, poche ore dopo che la Corte costituzionale ceca aveva dato il suo via libera. “Non era d’accordo, ma ha firmato ugualmente” titola Mladá Fronta Dnes sopra la foto della firma tanto attesa dagli altri leader europei. Come ultima stoccata, Klaus ha dichiarato che con questo trattato “la Repubblica ceca smette di essere un Paese sovrano”. “La penna è più saggia della bocca”, commenta Martin Komárek sul quotidiano di Praga. Il giornalista ricorda che tutti gli stati membri hanno ceduto “una parte della loro sovranità per entrare nell’Unione, nella quale i loro rappresentanti possono difendere in ogni caso gli interessi del paese”.
Bruxelles “ha di che brindare”, constata De Volkskrant. Ma ora, scrive il quotidiano olandese, “è necessario che tutti gli esponenti politici promettano solennemente di rinunciare ad ‘aggiustare’ l’edificio europeo almeno per un po’”. Il giornale lamenta poi che “le riforme istituzionali hanno fatto dell’egocentrismo e dell’autocompiacimento il passatempo più diffuso a Bruxelles. È giunta l’ora che l’Europa mostri ai suoi cittadini di essere veramente una guida per il progresso”.
“Grazie alle regole fissate dal trattato di Lisbona, l’Europa ha l’opportunità di fare un grande balzo in avanti” scrive Jacek Pawlicki su Gazeta Wyborcza. Ma il commentatore ricorda che “i trattati, a prescindere da quanto siano perfetti, resteranno lettera morta se nessuno avrà la volontà di trasformarli in realtà. Il successo di Lisbona è costato già troppe energie e determinazione. Questo capitale adesso non deve andare sprecato”.
Dopo otto anni di negoziati e di referendum, tuttavia, il trattato di Lisbona non ha certo risolto tutto: “L’Unione non era seducente prima di Lisbona e questo documento adesso non le spianerà le rughe, anzi” taglia corto Martin Komárek su Mladá Fronta Dnes. “Anche se democratizza e semplifica il funzionamento delle istituzioni, il dibattito su un trattato complesso e incomprensibile non ha dissipato la percezione dell’Unione come progetto elitario”, sostiene l’Irish Times. “Il trauma di Lisbona forse è ormai alle spalle, ma la disaffezione dei cittadini resterà una sfida cruciale per i leader europei”.
Rzeczpospolita dubita dell’ottimismo europeo e si chiede a che cosa serva dotarsi di belle istituzioni se poi l’Europa commette un “suicidio di civiltà”. Nel momento stesso in cui Klaus firmava il trattato, la Corte europea dei diritti dell’uomo condannava l’Italia per la presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche. Tagliando le radici cristiane dell’Europa, la giurisdizione di Strasburgo “capovolge il mondo dei valori fondanti della comunità europea” scrive il quotidiano conservatore polacco. “Noi non siamo più legati dalla chiesa di Santa Maria di Cracovia, dalla cattedrale di Notre-Dame e dalla Cappella Sistina, ma dal trattato di Lisbona, da Mtv, dalle pance piene, dalle vacanze a Ibiza e dalla tolleranza nei confronti dei gay”.
“L’elite politica europea ha mostrato il consueto sdegno nei confronti della volontà popolare”, sostiene il Times. Ma ora che il trattato di Lisbona è stato ratificato, è ora di passare ad altro. “Per quanto sia esasperante che in politica le cose cambino di continuo, dovete cambiare strategia” ammonisce il quotidiano londinese. Ed è esattamente quanto David Cameron ha reso noto di voler fare, abbandonando l’idea di un referendum sul trattato se nella primavera prossima sarà eletto premier.
La vicenda, tuttavia, non è ancora conclusa. Osservando che i conservatori britannici sperano sempre di approfittare dell’adesione della Croazia per ottenere qualche clausola di esenzione per il loro paese, la promessa che la sua entrata in vigore metta fine alle dispute costituzionali e istituzionali per una generazione ha tutta l’aria di essere una pia illusione: “Non proprio una prospettiva di cui rallegrarsi”.