"Donne e lavoro. Una rivoluzione incompiuta", di M.L. Pruna
"Donne e lavoro. Una rivoluzione incompiuta", di M.L. Pruna

Un’agile, leggibilissima ed accurata analisi della condizione del mercato del lavoro letta sotto il profilo della appartenza di genere. La ricerca è di M.L. Pruna, “Donne e lavoro. Una rivoluzione incompiuta”, Ed. Il mulino. Recensione di L. Sassu

DONNE AL LAVORO. Una rivoluzione incompiuta”, di Maria Letizia Pruna (ed. Il Mulino)

 

Una riflessione sul libro, a cura di Luisa Sassu

 

Accostarsi alla lettura di un saggio che compendia in modo semplice, ma profondo, la complessa realtà del lavoro femminile, è un esercizio d’innegabile utilità.

Parlarne, invece, è una gran fatica: si corre il rischio di proporre il riassunto approssimativo ed

insufficiente di un lavoro di ricerca che, da solo, parla di sé.

E allora proverò a parlare del libro recuperandone l’esprit, quel filo conduttore che, senza mai venir meno al rigore scientifico dell’analisi, ne rappresenta l’ancoraggio ideale e culturale.

Perché il libro di Lilli si muove dalla convinzione che il lavoro delle donne rappresenti una risorsa per l’economia, per la società, per la famiglia e per le donne stesse. Su questa convinzione, che ha costituito il parametro ideale della rivoluzione (auspicata, perseguita, attesa, ma) incompiuta si è stabilito tra me (il mio vissuto, il mio agire politico, il mio “mestiere” di sindacalista progressista) e il libro di Lilli quel meccanismo d’interazione che, in una persona ancora abituata a studiare sui libri, soltanto la lettura può suscitare. Quel meccanismo che suggerisce il maggior valore di un libro usato, cioè letto, rispetto ad un libro ancora esposto in libreria.

E allora, leggiamo insieme questo libro, anche se attraverso il filtro delle mie riflessioni e con l’avvertenza che ciascuno dovrà trovare il modo di leggerlo in solitudine per cercare altri significati e, magari, capovolgere quelli da me proposti.

Per esempio, ritengo fondamentale, e non mero frutto di un’opzione espositiva, il fatto che il primo capitolo del libro approfondisca analiticamente la relazione causale tra maternità e basso livello di occupazione femminile; nel contesto italiano, caratterizzato dal “…più basso livello di

partecipazione femminile al mercato del lavoro tra tutti i 25 stati membri dell’Unione Europea…”

è chiaramente segnalato sia il retaggio culturale secondo cui le madri con figli piccoli dovrebbero lasciare il lavoro per occuparsi dei bambini, sia l’insufficienza cronica di un sistema di welfare familistico e, al tempo stesso, incapace di affiancare le famiglie nell’impegno di cura dei bambini e degli anziani non autosufficienti.

La lettura dei dati e l’analisi che ne scaturisce confermano il rischio discriminatorio rappresentato dalla maternità, in un mercato del lavoro e in un sistema sociale ancora ostinatamente calibrato sull’idea che l’unico produttore del reddito familiare sia l’uomo e non la donna.

Preoccupa il fatto che siffatta discriminazione presenti, spesso, profili non azionabili in sede giudiziale, in quanto annidati in un ambito socioculturale formalmente estraneo alle fattispecie di discriminazione giuridicamente riconoscibili.

Assistiamo così al paradosso di un sistema normativo antidiscriminatorio particolarmente sofisticato, ma incapace di aggredire il nodo più antico della subordinazione della donna all’uomo: la divisione dei ruoli nell’ambito familiare.

Questa constatazione rivela, come una lezione della storia, la giusta intuizione del femminismo

progressista quando auspicava la promozione del lavoro (anche attraverso la maggiore diffusione di servizi di accoglienza per i bambini) in quanto strumento necessario per l’emancipazione delle donne e, infine, per una società orientata verso l’obiettivo dell’effettiva uguaglianza fra i cittadini.

Ebbene, il libro richiama, condividendola, un’osservazione forse provocatoria, ma non priva di

fondamento: “…le donne hanno conquistato più diritti nelle imprese che tra le mura domestiche.”

Ed ecco perché, come recita il sottotitolo del libro, la rivoluzione è ancora incompiuta: in un intreccio di cause ed effetti, il ruolo familiare delle donne ne ostacola l’ingresso e la permanenza nel mercato del lavoro; e il mercato del lavoro, a causa della ancora scarsa occupazione femminile, è costruito, organizzato e strutturato sul paradigma del lavoratore maschio, libero da quegli impegni di cura familiare che non attengano strettamente alla produzione del reddito per il sostentamento della famiglia stessa.

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