L’enciclica sociale di Papa Benedetto XVI corregge l’etica del capitalismo. Colti gli aspetti essenziali della crisi: il lavoro decente per tutti; i pericoli della deregolamentazione selvaggia; la riforma dell’Onu e il governo della globalizzazione.
Il vento della crisi spira forte, gli effetti corrono sulla pelle di tutte le genti, il sistema sfiora il collasso. E’ il panorama del Gran Fallimento. Ma il Papa non è un catastrofista, non è nelle sue corde forzare i toni, non ha gli strumenti mentali per farlo. Possiede semmai la freddezza dell’intellettuale e la duttilità necessaria alla rinuncia delle sue analisi e delle sue sentenze, a procrastinarle e ad aggiornarle quando il mondo intero sembra crollare sotto i colpi del Dio Denaro. Si spiegano così i tanti ritardi della sua encicica sociale attesa come punto di svolta di un pontificato finora impegnato in una tattica di attacco-difesa attorno al bastione dei valori non negoziabili. Da Ratisbona giù giù fino ai nostri giorni.
Ed eccola questa “Caritas in veritate”, maturata al punto giusto, occasione di non rinunciabile confronto di idee e di sentimenti. In essa Benedetto e i suoi esperti non alzano la voce, non inveiscono al capitalismo tradito e traditore. Non invocano la rivoluzione, richiamano semmai, e ad ogni pie’ sospinto, all’arte del discernere, come strumento unico per capire ed agire, per favorire l’avvento di una economia di mercato solidale, della giusta redistribuzione delle ricchezze, di ruoli nuovi di Stati e di organismi internazionali. E poi: peculiarità e responsabilità sociale delle imprese, mobilità e precariato, finanza e sostegno allo sviluppo, diritti dei migranti, la lotta alla fame, i sindacati e i compiti sui quali misurarsi, il rispetto dell’ambiente, il nodo non risolto della sessualità e della crescita demografica. Dice Benedetto con una espressione assai felice: “La crisi ci obbliga a riprogettare il nostro cammino e diventa occasione di discernimento”. Non è un manifesto ma gli assomiglia molto.
Naturalmente l’Enciclica parte da un suo motore teologico. Che sta tutto, o quasi, in quelle due parole: caritas e veritas. Non disgiungibili se non si vuole disperdere “la principale forza propulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità intera”. E’ il bagaglio ideale su cui “la Chiesa lancia la grande sfida in un mondo in progressiva e pervasiva globalizzazione”. Essa afferma e sostiene lo spazio vitale del pensiero religioso, delle religioni in quanto tali, e respinge l’ateismo in quanto “ostacolo allo sviluppo”. Vi si ritrovano, ovviamente, tutti i dettati in tema di sessualità, di bioetica, insomma della difesa dell’uomo come individuo. Ma poi si scende in ragionamenti di grande concretezza e di drammatica attualità. Ad esempio su mobilità del lavoro e precariato. Sì, certo, la mobilità lavorativa “è stata una fenomeno importante…Tuttavia quando l’incertezza circa le condizioni di lavoro, in conseguenza dei processi di mobilità e di deregolamentazione, diventa endemica, si creano forme di instabilità psicologica, di difficoltà a costruire propri percorsi coerenti nell’esistenza… Conseguenza di ciò è il formarsi di situazioni di degrado umano, oltre che di spreco sociale”.
Ed ecco emergere l’idea di solidarietà come valore imprescindibile. Il mercato? “Senza forme interne di solidarietà e di fiducia reciproca, il mercato non può pienamente espletare la propria funzione economica. Ed oggi è questa fiducia che è venuta a mancare, ed è una perdita grave”. Quanto all’impresa “uno dei rischi maggiori è senz’altro che (…) risponda quasi esclusivamente a chi in essa investe e finisca così per ridurre la sua valenza socale”. Altro rischio: “La cosiddetta delocalizzazione dell’attività produttiva può attenuare nell’imprenditore il senso di responsabilità nei confronti di portatori di interessi, quali i lavoratori, i fornitori, i consumatori, l’ambiente naturale e la più ampia comunità circostante, a vantaggio degli azionisti che non sono legati a uno spazio specifico e godono quindi di una straordinaria mobilità”. L’Enciclica non lo dice con parole esplicite ma altri analisti parlano di neo-colonialismo di rapina. Denuncia tuttavia l’abbassamento della tutela dei diritti dei lavoratori “per far acquisire a un certo Paese maggiore competitività internazionale”, fenomeno spesso abbinato a un indebolimento dei sindacati.
E al sindacato l’Enciclica sembra voler dedicare un’attenzione del tutto particolare. Opportuno “un richiamo all’urgente esigenza che le organizzazioni dei lavoratori, da sempre incoraggiate e sostenute dalla Chiesa, si aprano alle nuove prospettive che emergono nell’ambito lavorativo superando le limitazioni proprie dei sindacati di categoria per farsi carico dei nuovi problemi delle nostre società”. Esempio, il conflitto tra persona-lavoratrice e persona-consumatrice. Non si tratta qui di passare dalla centralità del lavoratore a una centralità del consumatore. Certo è che “questo sia un terreno per innovative esperienze sindacali”. Innovativo, anzi immediato, è il problema dei confini, degli ambiti culturali e politici, entro i quali le organizzazioni sindacali nazionali sono chiamate ad agire. Il rischio che si corre nel contesto globale in cui si svolge il lavoro, è che “ci si chiuda nella difesa degli interessi dei propri iscritti quando il sindacato sarà sempre più chiamato a rivolgersi verso i non iscritti e, in particolare, verso i lavoratori dei Paesi in via di sviluppo, dove i diritti sociali vengono spesso violati. Un campo che include anche le problematiche dei migranti. “La difesa di questi lavoratori, promossa anche attraverso opportune iniziative verso i paesi di origine, permettendo alle organizzazioni sindacali di porre in evidenza le autentiche ragioni etiche e culturali che hanno loro consentito, in contesti sociali e lavorativi diversi, di essere un fattore decisivo per lo sviluppo”. C’è una regola di ferro, si spera unanimemente condivisa, che l’Enciclica detta parola dopo parola:”Ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione.”
La pubblicazione della Caritas in Veritate cade quasi in parallelo con il G8 all’Aquila. Al vertice consegna un ulteriore motivo di riflessione. La crisi – sostiene il documento papale – mostra tutta l’urgenza della riforma dell’Onu e la necessità di una vera architettura economica e finanziaria per governare la globalizzazione. O meglio: di una vera autorità politica mondiale.
Fonte: www.rassegna.it