Allo Stato, conviene di più investire in istruzione, che mettere soldi per realizzare ponti, strade, porti.
Nel lungo periodo, infatti, la maggior spesa pubblica verrebbe più che compensata, specie al Sud, dall’aumento delle entrate fiscali, a parità di prelievo, e dai minori costi derivanti dall’aumento del tasso di occupazione. A rilanciare l’importanza di "investire in conoscenza" è l’ultima pubblicazione di Bankitalia, a cura degli economisti Federico Cingano e Piero Cipollone, "I rendimenti dell’istruzione", che evidenzia, punto per punto, tutti i vantaggi di finanziare un aumento del grado di preparazione dei cittadini italiani. Un messaggio indiretto al Governo, che, invece, con l’attuale Finanziaria per il 2010, appena uscita dal Senato, conferma tutti i 7,3 miliardi di euro di tagli, in 3 anni, per il mondo della scuola.
Al contrario, per gli economisti di Palazzo Koch, se lo Stato aprisse i rubinetti nell’istruzione, ne otterrebbe discreti vantaggi. Basterebbe – sostengono – spendere una cifra, netta, tra i 2.900 e i 3.700 euro pro capite. Un esborso, tutto sommato, neanche elevatissimo e, soprattutto, ricompensato dai ritorni economici dell’investimento. In media, cioè, il rendimento fiscale che ne otterrebbe l’Erario sarebbe tra il 3,9 e il 4,8%, nel caso di co-finanziamento (90% soldi pubblici, 10% fondi privati) e sarebbe solo lievemente inferiore nel caso, invece, in cui la spesa gravasse interamente sul bilancio pubblico. Addirittura, meglio, quindi, di un investimento azzeccato in Borsa.
Ma i "benefici" di un maggior livello di istruzione non finiscono qui. La ricerca evidenzia, anche, i vantaggi per i diritti interessati. Per i ragazzi, cioè. Un anno in più sui banchi di scuola, infatti, rende, nel medio, lungo periodo, l’8,9% e raggiunge il 9,1% nelle regioni del Sud. Molto più, per esempio, di un titolo di Stato, come bot, cct, obbligazioni (rendono, in media, l’1,9%), o di un bond societario. O, più semplicemente, di un investimento azionario: in 50 anni il rendimento reale lordo di un’azione non supera, infatti, il 5,2 per cento. A trarne più profitto di tutti sono i laureati. Complessivamente, una laurea frutta il 10,3%, mentre l’aver superato l’esame di maturità, il 9,7 per cento. Svetta il Mezzogiorno, dove la laurea arriva a rendere il 12,3%, contro, per esempio, l’8,3% del Nord-Ovest. Inoltre, un colletto bianco, nel medio, lungo periodo, guadagna almeno il 50% in più di un semplice diplomato. Anche il ragazzo che si è fermato alla maturità, in prospettiva, porta a casa stipendi più alti del 15%-30% rispetto a un giovane in possesso della sola licenza media.
Palazzo Koch stima, infine, alcuni "curiosi" benefici sociali di un maggior investimento in istruzione. Un anno di studio in più riduce la possibilità di ammalarsi del 4% in meno rispetto alla probabilità media. Addirittura, poi, chi ha in tasca un diploma, si è garantito lo 0,2% di eventualità in meno di morire nell’arco temporale di 10 anni.
di Claudio Tucci, tratto da Il Sole 24 Ore