Poletti: nella crisi coniugare stabilità politica ed innovazione
Poletti: nella crisi coniugare stabilità politica ed innovazione

Riprendiamo dal sito nazionale di Legacoop un’intervista a Giuliano Poletti, nella quale il presidente di Legacoop interviene sui principali problemi dell’economia.

Roma, 6 settembre 2013 – L’autunno che sta per arrivare dovrebbe portare con sé, secondo dichiarazioni di vari esponenti del governo, i primi segnali, se non di una vera ripresa, di una inversione di tendenza dopo anni di crisi drammatica per l’economia nazionale. Intanto, però, il PIL è in calo da 8 mesi e, secondo le ultime stime OCSE, il 2013 si chiuderà con un -1,8% su base annua. E anche se il dato sulla fiducia dei consumatori ad agosto è in lieve crescita, gli ultimi dati Istat che confermano una disoccupazione ferma al 12% (con il dato drammatico del 40% per i giovani) non fanno bene sperare.

 

A partire da questo scenario, abbiamo rivolto alcune domande a Giuliano Poletti, Presidente di Legacoop e dell’Alleanza delle Cooperative Italiane.
Poletti, qual è, dal suo osservatorio, la situazione delle cooperative?
“Nonostante una buona capacità complessiva di tenuta, le cooperative registrano una situazione sostanzialmente analoga al sistema imprenditoriale italiano, con situazioni di crisi che hanno portato alla chiusura di alcune aziende. Non va dimenticato che le cooperative, per svolgere la loro missione di difendere l’occupazione e la continuità dell’impresa, hanno operato una drastica riduzione dei margini. Ed è chiaro che se le imprese non hanno risorse per continuare ad investire vedono a rischio la loro sopravvivenza. Comunque, c’è un panorama diversificato da settore a settore e per tipologie di aziende. Ad esempio, si profila qualche timido segno di cambiamento per alcuni segmenti, specialmente quelli che hanno un collegamento con le iniziative che si sono andate realizzando: penso al tema degli eco-bonus, degli interventi sulla casa. Ma si tratta di segnali assolutamente modesti, che non lasciano intravvedere una vera stabilizzazione; c’è ancora tanto lavoro da fare in direzione della crescita”.

 

Nella stessa seduta in cui ha stabilito l’eliminazione della prima rata IMU per la prima casa, il Consiglio dei Ministri ha anche rifinanziato la cassa integrazione in deroga e appostato altri fondi per gli esodati. È il lavoro il problema cui assegnare la priorità assoluta?
“Sicuramente, anche perché c’è un tema davvero drammatico che va affrontato. Ci sono situazioni -e in questo caso non parlo di cooperative, ma di molte aziende italiane- che hanno persone in cassa integrazione o, comunque, utilizzano ammortizzatoti sociali ormai da lungo tempo, e quindi sono vicine all’esaurimento. Si può ragionevolmente immaginare che una parte di queste aziende abbiano già concluso la loro esistenza: pertanto, la fine del 2013 ed il 2014 segneranno ancora, purtroppo, una grave crisi di occupazione. Molte aziende hanno sostanzialmente già cessato la loro attività: i lavoratori sono figurativamente occupati, ma sostanzialmente già disoccupati da tempo. Per quanto riguarda il mondo cooperativo, in settori come quello delle costruzioni, dove il mercato è profondamente cambiato e si è drammaticamente ristretto, le imprese, se vogliono sopravvivere, non potranno che riorganizzarsi, ristrutturarsi e riposizionarsi dentro il mercato. Se il mercato continuerà ad essere depresso e, come è facile immaginare, è improbabile che torni alle quantità di volumi prodotti prima della crisi, è inevitabile pensare a processi di riorganizzazione che avranno dei costi sociali. Naturalmente il mondo cooperativo utilizzerà gli strumenti della solidarietà per ridurre al minimo i sacrifici, ma non possiamo nasconderci che questo problema è davanti a noi. Noi puntiamo alla salvaguardia delle imprese, che per noi è la condizione di una prospettiva futura. E se questo significa qualche sacrificio sul piano dell’occupazione, dovremo tutti insieme -con il sindacato, con i lavoratori, con i soci delle cooperative- cercare di trovare le vie meno pesanti. Ma dovremo farlo, perché altrimenti perderemmo le imprese e perdere un’impresa significa non solo perdere i posti di lavoro attuali, ma perderli per sempre”.

 

La recente eliminazione della prima rata l’IMU per tutte le prime abitazioni (l’abolizione totale dell’imposta è rinviata alla definizione della legge di stabilità) è stata da alcuni salutata come una misura che potrà liberare risorse delle famiglie per far ripartire i consumi. Ma dal decreto si scopre che sono state sottratte risorse per la disoccupazione e per la manutenzione della rete ferroviaria. E c’è chi dice che, per finanziare il minore introito per lo Stato, a questo punto l’aumento di un punto dell’IVA sarà una strada obbligata. Qual è il suo parere in merito?

 

“Quando c’è una riduzione dal punto di vista degli oneri fiscali in un paese che ha una tassazione molto alta non si può che essere favorevoli; in particolare, siamo soddisfatti perché finalmente, e sarebbe stato paradossale se non fosse avvenuto, gli alloggi in affitto delle cooperative di abitazione a proprietà indivisa sono stati assimilati alla prima casa. Però, sulla modalità con la quale l’operazione è stata complessivamente impostata si può fare qualche osservazione. Probabilmente una scelta un po’ più misurata, che avesse un elemento di equità maggiore, cioè che mantenesse un livello di tassazione specifica per chi ha patrimoni immobiliari importanti, avrebbe richiesto un minore assorbimento di risorse nel bilancio dello Stato e avrebbe consentito di investire qualcosa in più per altri obiettivi. La riduzione di risorse destinabili al lavoro lascia senza dubbio perplessi, pur nella consapevolezza di una difficoltà reale nel reperirle. Ed è evidente che questo tema si riproporrà per trovare le risorse necessarie ad evitare l’aumento di un punto percentuale dell’IVA che rischierebbe di deprimere ulteriormente i consumi, con la conseguenza che potrebbe non esserci l’incremento di gettito atteso. Sul capitolo IVA, c’è un aspetto specifico che ci preoccupa moltissimo: noi continuiamo a sostenere con forza che va superata l’ipotesi di innalzare dal 4 al 10% l’aliquota IVA sulle prestazioni socio-sanitarie erogate dalle cooperative sociali. Se non venisse fatto, 500.000 tra anziani, bambini e disabili rischiano di restare senza assistenza e 40.000 persone perderanno il lavoro. È una prospettiva per noi inaccettabile”.

 

In questi giorni il quadro politico è scosso da forti tensioni, con il rischio che il governo possa cadere. Cosa ne pensa?
“Abbiamo detto più volte che, in una fase come quella attuale, l’Italia deve essere governata. Va assolutamente evitata una crisi politica che metta a rischio la stabilità e la possibilità stessa, peraltro, che il parlamento continui a fare il suo lavoro sia per la conversione dei decreti finora approvati dal governo, sia per la predisposizione della legge di stabilità. Riteniamo, insomma, che il quadro politico, per quanto possibile, debba rimanere stabile. Il che non vuol dire che debba rimanere esattamente così come è, ma che non possa cambiare in maniera avventurosa, cioè senza la certezza che vi sia comunque un governo in grado di presidiare il Paese in una situazione di grande difficoltà che richiede scelte importanti e coraggiose”.

 

Confindustria e Cgil, Cisl e Uil hanno elaborato un documento unitario che hanno consegnato al Governo in vista della definizione della legge di stabilità, indicando quelle che dovrebbero essere le priorità per far davvero incamminare il paese sulla via della ripresa. Tra queste, vengono indicate la necessità di ridurre il carico fiscale su lavoro e imprese e di delineare nuove politiche industriali incentrate su quattro direttrici strategiche: innovazione, sviluppo della green economy, nuova finanza per lo sviluppo, riduzione del costo dell’energia. Le cooperative condividono queste proposte?
“La discussione sul cosa fare è una discussione aperta. Crediamo che le proposte contenute nel documento di Confindustria e Sindacati siano sostanzialmente condivisibili, ma abbiamo anche una nostra idea delle priorità, a cominciare da un dato: bisogna lavorare seriamente e in maniera condivisa sul tema della riduzione della spesa.
Quando si fanno proposte di cose che sarebbe bene fare -riduzione del carico fiscale sull’impresa e sul lavoro, rilancio degli investimenti- occorre sapere che nel bilancio dello Stato al momento non ci sono le risorse necessarie e, quindi, bisogna che tutti, anche imprese e sindacati, ci assumiamo la responsabilità comune di trovare il modo per rendere il reperimento di risorse per lo sviluppo compatibile con la necessità di tenere sotto controllo i conti pubblici.
Noi non pensiamo che la politica dei tagli sia quella che risolve i problemi, ma neppure che si possano fare operazioni che non tengano conto delle compatibilità di bilancio. Da questo punto di vista, pensiamo che ci sia un tema generale di revisione dell’impianto della spesa pubblica. L’idea, che continua ad essere ribadita, che tutto ciò che è pubblico e collettivo debba essere gestito e risolto dall’intervento dello Stato non ci convince. Noi pensiamo che, accanto ad una logica di efficientamento della spesa pubblica e di responsabilizzazione dei cittadini rispetto al quadro della situazione di questo paese, sia necessario un cambio di passo anche sul piano culturale che affermi l’idea della partecipazione responsabile dei cittadini alla gestione della cosa pubblica, all’interesse delle comunità, agli sforzi che vanno fatti per garantire una prospettiva di futuro”.

 

Per tornare alle priorità da affrontare. Quali sono quelle che individuate?
“C’è sicuramente il completamento del pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni alle imprese, perché si è dimostrato uno dei pochi strumenti capaci di immettere liquidità nel sistema produttivo del nostro paese. La seconda esigenza che sosteniamo è che nel fare questo intervento bisogna pensare a come le imprese ricominciano ad investire. Il dato che nessuno sottolinea in modo sufficiente è che, da diversi anni, sono crollati gli investimenti nel nostro paese, intendo gli investimenti privati. Ora, se non si promuove l’investimento nelle imprese non si creerà lavoro, se non si creerà lavoro non ci sarà nuovo reddito, se non ci sarà nuovo reddito non ci saranno consumi. In questo senso noi pensiamo che bisognerebbe aiutare le imprese che investono: il primo intervento potrebbe essere quello di detassare gli utili che le imprese reinvestono, perché crediamo sia un modo efficace per dire agli imprenditori “ricominciate ad investire”. Naturalmente siamo anche noi d’accordo, ad esempio, di togliere il costo del lavoro dalla base imponibile Irap, perché è un elemento che penalizza le imprese ad alta intensità di lavoro.
Altro tema che poniamo con forza è la modifica del patto di stabilità interno, perché continuiamo a pensare che una delle molle che fa girare l’economia italiana sia tutta l’attività che gli enti locali sono in grado di avviare.
Nelle scelte da fare, bisogna poi considerare che se c’è certamente un ruolo della manifattura nel nostro paese è altrettanto vero che le industrie manifatturiere hanno un chiaro gap di produttività. Quindi è ragionevolmente immaginabile che una ripresa dell’industria nel nostro paese sarà una ripresa che non potrà puntare sulla crescita dell’occupazione, ma sull’innovazione tecnologica. Mentre i segmenti che sono in grado di darci risposte sul piano dell’occupazione sono quelli dei servizi alle persone ed alle imprese, del turismo, della distribuzione. Ci sono, insomma, dei segmenti dove c’è bisogno di minori investimenti fissi per ottenere occupazione: e se l’occupazione è la priorità delle priorità bisogna decidere di spingere quei segmenti dove l’occupazione si può produrre senza bisogno di grandissimi investimenti e di tempi lunghi.

 

Magari anche attraverso un utilizzo mirato dei fondi comunitari?
Certamente, anche per evitare che si riproducano situazioni di problematicità come in passato, con risorse che addirittura non sono state spese. Il problema è spendere le risorse ed essere sicuri che produrranno i risultati attesi. Privilegiando, lo ribadiamo, il protagonismo dei cittadini, in veste di utenti e di lavoratori. Noi abbiamo un numero non irrilevante di imprese che sono state salvate dai lavoratori che si sono riuniti in cooperativa e sono subentrati come imprenditori, dando continuità all’attività della loro azienda. Se il lavoro è la priorità, bisognerà trovare le forme attraverso le quali il pubblico aiuta questi lavoratori a diventare imprenditori. Questo vale anche per i servizi alle comunità, vale per le zone interne del nostro paese che hanno bisogno di risposte in questo senso, vale per l’housing sociale. Insomma, è bene pensare a politiche che abbiano un chiaro ed esplicito riferimento nella partecipazione responsabile dei cittadini.

 

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