Fermate ogni violenza sulle donne. È un grido che corre da mesi, sul web e nelle piazze, dall’Europa all’India, dalle città dell’America Latina ai più remoti villagi africani.
Il 25 novembre, giornata internazionale contro la violenza sulle donne, è stato solo l’inizio di un percorso di iniziative che hanno attraversato l’inverno e ora culminano nell’otto marzo, passando per la grande manifestazione One billion rising , tenuta il 14 febbraio.
L’idea cha ha dato vita alle migliaia di incontri, ai cortei, ai flash-mob e agli spettacoli di danza è nata dall’attivista e autrice statunitense Eve Ensler, fondatrice del V-Day, movimento internazionale anti-violenza. In Italia hanno preceduto questi eventi le grandi manifestazioni della rete Senonoraquando e iniziative culturali come gli spettacoli teatrali di Feriteamorte .
One billion, un miliardo, sta a ricordare il numero di donne che nel mondo subiscono una qualunque forma di violenza, dalle percosse allo stupro. Il passo al femminicidio è breve, un fenomeno che avviene molto spesso in famiglia. In Europa circa 3,500 donne sono assassinate ogni anno dal proprio partner, mentre in Sud Africa la stessa mano uccide la propria moglie o compagna ogni sei ore.
La partecipazione a One billion rising è stata senza precedenti, anche in risposta all’orribile morte, qualche settimana prima, di Yoti Singh Pandey, la studentessa 23enne indiana, assalita e stuprata a Dehli. Prima di lei, la vicenda di Malala Yousafzai, la ragazza pachistana di 15 anni, assalita e copita dalla testa da un gruppo di fanatici talebani contro il diritto all’istruzione delle donne. La lista è lunga e contiene storie più o meno note, ma tutte ugualmente violente, tutte ugualmente inaccettabili.
E fermare ogni violenza sulle donne significa farlo a partire dai luoghi di lavoro. L’ILO ha dedicato l’otto marzo del 2013 a questo tema anche perché non esiste ancora un trattato internazionale che vieti esplicitamente la violenza contro le donne, nonostante il fenomeno delle molestie e degli abusi fisici, verbali e psicologici, sia molto diffuso in ogni parte del mondo. E non solo nei paesi in via di sviluppo.
Basti pensare che all’interno dell’Unione Europea, tra il 40 e il 50 per cento delle donne hanno subito proposte sessuali indesiderate, contatti fisici o altre forme di molestie sessuali sul posto di lavoro.
Esistono, tuttavia, le norme internazionali del lavoro riferite all’uguaglianza di genere e ad alcune categorie di lavoratrici spesso vittime di violenza poco visibili, come le lavoratrici domestiche, quelle delle popolazioni indigene, le bambine lavoratrici, quelle rurali, le donne migranti.
Per richiamare l’attenzione della comunità internazionale sul bisogno di dotarsi di nuovi e più efficaci strumenti giuridici, si tiene in questi giorni a New York la 57° sessione della Commissione ONU sullo stato della donna (UNCSW57) , a cui partecipano anche molte sindacaliste.
L’anno scorso la Commissione non è riuscita a adottare conclusioni condivise sulla violenza di genere perché un gruppo di governi conservatori ha messo in discussione il principio stesso dell’uguaglianza di genere.
Sull’onda delle tante manifestazioni, quest’anno i lavori dovrebbero portare a un risultato concreto e a un impegno condiviso dei governi affinché si metta freno a ogni forma di violenza, contro le donne, contro la società.
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