Sardegna: l’autogoverno e il valore del lavoro
Sardegna: l’autogoverno e il valore del lavoro

Abbiamo ricevuto e volentieri pubblichiamo nella nostra sezione “Idee a confronto” una impegnativa riflessione di Mario Medde, Segretario generale della CISL sarda, dedicata ai temi del lavoro e dello sviluppo nonchè alle sfide dell’autogoverno in Sardegna.

1)    sardegna: le ragioni e la passione

La specialità e la rinascita hanno accompagnato, come idee forza, le speranze dei sardi nella lunga fase della prima modernizzazione dell’Isola. Si è però di fronte a un loro innegabile logoramento.
La rinascita, pur permanendo come norma costituzionale, pare essere stata rimossa anche dal dibattito politico. Eppure sono ancora evidenti i divari economici e sociali che l’hanno motivata.
Si aggiunga la rottura del Patto costituzionale tra Stato e Regione su temi decisivi, quali il lavoro e altri diritti di cittadinanza che andrebbero invece garantiti. Una legislatura costituente per la Sardegna è tale se si pone questi obiettivi e se, in forme specifiche e con metodo proporzionale, si dà vita a un’assemblea costituente che approvi, il nuovo Statuto dell’Isola.
In una fase straordinaria, assume grande rilevanza un congresso del popolo sardo per sostenere il necessario cambiamento economico e sociale e l’assemblea costituente come momento più rappresentativo della svolta. Bisogna pensare e programmare lo sviluppo, con un’idea di società improntata ai valori di giustizia sociale e di libertà. Valori e progetti da collocare oltre l’autonomia e la specialità così come le abbiamo conosciute. Queste dicono tutto o quasi sul recente passato, ma nulla o quasi sul futuro.
Si sono modificate le categorie politiche, istituzionali, economiche e sociali che davano linfa e razionalità all’autonomia, così come storicamente è stata rivendicata e attuata nella dimensione della specialità.
È profondamente mutata la situazione internazionale ed europea, e con essa l’economia e la finanza. È cambiato lo Stato. Cosa è dunque all’ordine del giorno della politica e delle istituzioni sarde? Quale idea e progetto per le istituzioni e la società? Forse l’autogoverno come forma più avanzata della specialità che si afferma in uno Stato federalista? Oppure l’autogoverno come indipendenza? O, ancora, il ristagno non solo politico di un’autonomia ormai superata anche dalle dinamiche interne e dalla forza delle regioni a Statuto ordinario?
Sottrarsi a questi interrogativi comporta il pericolo dell’emarginazione, in Italia e in Europa, e di un ulteriore arretramento economico e sociale.
La Regione deve comunque fare i conti con il federalismo fiscale. Il rapporto tra accumulazione della ricchezza, centri e capacità di spesa (ivi compresa la rinegoziazione del patto di stabilità alterno) rappresenta una questione ineliminabile per qualsivoglia scelta di sviluppo. Nel contempo è una priorità la definizione degli assetti istituzionali dell’Isola, per attuare il federalismo interno sulla base del quale rinegoziare con lo Stato poteri, risorse e funzioni. In questa direzione, il federalismo cooperativo e solidale rappresenta una risposta coerente con le storiche aspettative dei sardi e un obiettivo praticabile nell’attuale fase storica. Non c’è però più tempo da perdere. I più importanti indicatori economici e sociali dell’Isola volgono in senso negativo: lavoro, produzione della ricchezza, reddito delle famiglie.
La conseguenza più evidente è l’aumento delle povertà, con più di trecentomila persone al sotto della soglia della povertà relativa.
Eppure un’altra Sardegna è possibile: con maggiori opportunità lavorative, e adeguate misure di contrasto alla povertà e maggiori tutele sociali. Si tratta altresì di conciliare l’esigenza di una maggiore produzione di reddito con una più equa distribuzione della ricchezza. E un impegno che richiede un nuovo Patto dei sardi e una stagione di grande e diffusa partecipazione. A tal fine è indispensabile una politica non minimalista, valori, programmi, capacità attuativa, radicamento sociale, nei quali incardinare una rappresentanza politica non solo elettorale.
S’impongono dunque un’idea e pratica della politica come dimensione popolare e diffusa, e la democrazia rappresentativa, con la valorizzazione dei corpi sociali, come strumento e insieme di regole che meglio e più di altri riesce ad affermare le libertà individuali e collettive.
Non è solo un problema di risorse finanziarie, ma di quante e quali ragioni e passioni, come sardi, sapremo mettere in campo per essere realmente liberi.

2)    Il valore del lavoro

La crisi del lavoro è l’aspetto più importante delle difficoltà in cui versa oggi la Sardegna. Per questo motivo, ma anche per la rilevanza che ha questo problema nelle più generali vicende europee e mondiali, è di straordinaria urgenza confrontarsi sullo stato del lavoro e sulle sue prospettive.
È indispensabile e utile dunque discutere sulle tante emergenze dell’Isola e sulle strategie necessarie a promuovere il rilancio del lavoro e una nuova fase di crescita economica e sociale in Sardegna. Proprio per le dimensioni della crisi finanziaria e produttiva e per l’integrazione dei mercati mondiali e delle economie, si ha la necessità di rapportare le vicende dell’Isola alle dinamiche che hanno modificato il sistema economico e finanziario internazionale.
È utile dunque interrogarsi su come la crisi del nostro modello di sviluppo si intrecci con la più generale crisi dell’economia mondiale, ma anche sui ritardi e le diseconomie del sistema produttivo e sulle responsabilità di governo delle politiche sia nazionali che regionali.
È innegabile, anche nelle difficoltà che vive il sistema economico regionale, il peso della perdita di valore del lavoro e la crisi del vecchio modo di fare industria. La finanziarizzazione dell’economia, e la crisi del sistema produttivo industriale hanno determinato, insieme all’incapacità di concorrere in un mercato globalizzato, le difficoltà dell’economia nazionale e soprattutto di quella meridionale e dell’Isola.
In Sardegna la crisi del lavoro è conseguente da un lato alla crisi produttiva e industriale e dall’altro alla mancata soluzione a problemi strutturali quali le diseconomie esterne al processo produttivo, l’assenza di innovazione di processo e di prodotto, l’inefficacia della Pubblica amministrazione, lo svilimento del capitale sociale e umano.
A livello di diversi paesi europei, Italia compresa, «non potendo svalutare la moneta hanno svalutato il lavoro (disoccupazione, precarietà, bassi salari, diritti negati, dequalificazione della scuola e della conoscenza)».
A livello regionale a questa politica si è associata una condizione di strutturale ritardo nell’affrontare le diseconomie, in primo luogo quella derivante dall’insularità, e l’incapacità della politica sarda e nazionale di contribuire a promuovere le opportunità necessarie per andare oltre la prima modernizzazione dell’Isola.
La democrazia economica (regolazione dei mercati, superamento dei monopoli e degli oligopoli, capacità di governo dell’accumulazione e dell’equa distribuzione della ricchezza, partecipazione dei lavoratori all’impresa) rappresenta una risposta fondamentale per promuovere una nuova fase di crescita economica e sociale attraverso la valorizzazione dell’economia reale e del lavoro.

3)    una nuova stagione dello sviluppo nell’Isola

È diventato urgente e inderogabile un progetto di sviluppo capace di promuovere una nuova fase di crescita economica e sociale dell’Isola, dandosi una valida strategia per superare i condizionamenti economici, storici e geografici.
Gli obiettivi più importanti sono:

·       il riconoscimento dello status di insularità; per recuperare le diseconomie esterne ai processi produttivi e il diritto dei sardi alla mobilità reale delle persone e delle merci;

·       l’autonomia finanziaria della Regione; indispensabile per promuovere le basi materiali e immateriali dello sviluppo. Può concretamente realizzarsi non solo attraverso la leale partecipazione dei cittadini al raggiungimento di questo obiettivo, ma anche a condizione che lo Stato onori i suoi impegni e crediti, a partire dai trasferimenti erariali e tributari dovuti negli anni, ai fondi per le aree sottoutilizzate, all’attuazione di quanto previsto dallo statuto speciale circa il Piano di Rinascita dell’Isola;

·       la revisione del patto di stabilità è per la Sardegna indispensabile per garantire una migliore e maggiore capacità di spesa utile a promuovere il lavoro e lo sviluppo e ad attutire l’impatto della crisi;

·       la partecipazione dello Stato al rilancio del sistema industriale; condizione fondamentale non solo per arrestare il declino di settori strategici per la Sardegna e per il Paese (chimica, metallurgia non ferrosa, tessile, allevamento e agro-alimentare), ma anche per promuovere le condizioni necessarie ad attrarre nuove intraprese, favorendo le bonifiche e le riconversioni produttive dei siti dismessi o in via di dismissione;

·       il recupero del divario infrastrutturale sia nelle reti (viarie, ferroviarie, portuali, marittime e loro terminali, snodi intermodali, idriche, energetiche e telematiche) sia nei servizi pubblici essenziali (scuola, sanità, trasporti pubblici locali, uffici pubblici e sicurezza, poste e servizi finanziari, servizi sociali, cultura e sport). Fatto 100 l’indice medio in Italia, la dotazione infrastruttura sarda si attesta tra il 28,7% della provincia di Nuoro e il 50% di Cagliari. Tutta la regione si colloca molto al di sotto dell’indice medio nazionale;

·       la zona franca e abbattimento dell’alta imposizione fiscale, soprattutto a favore delle imprese, del lavoro e delle famiglie;

·       la riforma e il superamento del modello di Regione costituito con la legge 1 del 1977 e la riduzione e accorpamento degli assessorati e delle agenzie;

·       l’accelerazione della spesa della Regione ed eliminazione di quella improduttiva, attraverso una sburocratizzazione del sistema Regione e una delegificazione riducendo le norme e disboscando la giungla legislativa;

·       il programma straordinario e pluriennale a favore del lavoro giovanile e femminile, varando anche una legge quadro sulle politiche del lavoro e riformando gli oltre cinquantadue interventi di politiche per il lavoro e di welfare, monitorando l’efficienza e l’efficacia sulle risorse dedicate, sui criteri di concessione e sulle categorie di destinatari. Inoltre, il piano deve contenere un rafforzamento dei programmi per la ricollocazione dei lavoratori espulsi dai processi produttivi;

·       il rafforzamento del fondo regionale contro la povertà e predisposizione di un nuovo modello di welfare regionale;

·       la riforma del sistema regionale dell’istruzione e della formazione professionale.

Perché tutto ciò diventi credibile è però necessario che il Governo nazionale si impegni a che le vertenze aziendali aperte (Alcoa, Eurallumina e tutta la filiera dell’alluminio, il minero-metallurgico, Carbosulcis, Eon, il futuro del petrolchimico, l’apertura del tavolo nazionale sul tessile, la questione energetica, l’agro-industria) trovino un tavolo di confronto e una definizione in tempi accettabili.
Questi problemi potranno essere meglio affrontati, e gli obiettivi raggiunti, se si sapranno superare i ritardi e le inefficienze locali e regionali e se verrà attuata immediatamente una svolta nell’azione della Regione in termini di maggiore efficienza ed efficacia.

Il sostegno ai settori produttivi appare improntato alla mera gestione delle emergenze e delle numerose vertenze aziendali. Lo stesso Piano straordinario per il lavoro ha finito per disperdersi in misure normali o, peggio, assistenziali, mentre le risorse destinate ai progetti di filiera e sviluppo locale sono state contingentate e non ci sono scelte chiare né sui settori tradizionali, come il primario, né sui comparti innovativi. Si resta al traino delle decisioni dei grandi gruppi industriali e non si comprendono chiaramente neppure i veri orientamenti della Regione nelle politiche di settore.

In allegato il testo integrale dell’intervento di Mario Medde.

 

Condividi sui Social Network