L’OCSE ha presentato il rapporto “Chiudere il gap di genere: agire ora” relativo alle persistenti differenze nella partecipazione al mercato del lavoro, nei ruoli dirigenziali e imprenditoriali e nelle condizioni salariali per le donne nei 34 paesi membri.
Il rapporto mostra come, nella media dei paesi OCSE, a parità di lavoro e di posizione professionale le donne guadagnino il 16% in meno degli uomini. Differenza che sale al 21% nelle posizioni professionali più alte.
Ancora, la media della differenza salariale tra uomini e donne in famiglie con uno o più figli sale al 22%, mentre scende al 7% per le coppie senza figli.
Le donne, in generale, pagano una penalizzazione salariale per avere figli, con una punta massima del 14% in Corea del Sud, mentre questa tendenza sarebbe quasi inesistente in Spagna ed in Italia, dove, secondo i dati OCSE, il gap salariale sarebbe tra i più bassi.
Ma questo dato “positivo” sarebbe, in realtà, il risultato dell’abbandono del mercato del lavoro da parte di una quota consistente di donne che riceverebbero i salari più bassi.
L’Italia, infatti, è tra i fanalini di coda nella partecipazione femminile al mercato del lavoro: solo il 51% contro una media OCSE del 65%.
Solo due paesi dell’OCSE, Turchia e Messico, hanno un tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro più basso di quello italiano.
L’OCSE sottolinea l’importanza delle politiche dell’istruzione e della formazione, dei servizi sociali e della tassazione per la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e per il raggiungimento dell’eguaglianza salariale con i maschi.
E, ancora una volta, le condizioni in Italia non sono particolrmente favorevoli: meno del 30% dei bambini sotto i tre anni usufruisce dei servizi per l’infanzia e il 33% delle donne italiane sono costrette al part-time per conciliare lavoro e responsabilità familiari, contro una media OCSE del 24%.
Anche nel settore manageriale ed imprenditoriale il differenziale di genere è elevato: nel 2010 le donne erano un terzo dei manager e solo il 7% dei membri dei consigli di amministrazione delle aziende quotate in borsa; nello steso anno le donne rappresentavano il 22% degli imprenditori con dipendenti, ma il loro reddito era solo la metà di quello dei maschi nella stessa categoria sociale.
Secondo l’OCSE, se, a parità di altre condizioni, nel 2030 il tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro raggiungesse quello maschile, la forza lavoro italiana crescerebbe del 7% e il PIL procapite salirebbe dell’1% all’anno.
In allegato, la scheda del rapporto relativa all’Italia.
Informazioni più dettagliate sull’intero rapporto si trovano al seguente indirizzo web:
www.oecd.org/gender/closingthegap.htm