L’impatto della crisi sul futuro
L’impatto della crisi sul futuro

Non c’è giorno in cui i dati e le previsioni degli istituti economici internazionali rassicurino sulla situazione attuale, riguardo al lavoro e alle prospettive di crescita nei paesi industrializzati. Segue …

Ma sta emergendo anche un’altra preoccupazione, che impatto avrà questa situazione, sia economicamente che politicamente, sulle prossime generazioni?
Le ultime stime dell’Ocse confermano un aumento di senza lavoro che molti non hanno esitato a definire “allarmante”. Secondo il rapporto Employment Outlook, a maggio il numero dei disoccupati nell’area dell’Ocse ha raggiunto i 48 milioni, quasi 15 milioni in più dall’inizio della crisi, con un tasso pari al 7,9 per cento. Gli economisti dicono che per tornare a tassi di occupazione accettabili, si dovrebbero creare presto circa 14 milioni di posti di lavoro.
I dati appena diffusi dall’ILO, invece, riguardano l’Eurozona, che rischia di perdere altri 4,5 milioni di posti nei prossimi quattro anni se non ci sarà un cambiamento deciso verso politiche orientate alla creazione di lavoro. L’agenzia Onu insiste sul fatto che le misure di austerità hanno solo indebolito la crescita, tra la contrazione del credito bancario e la diminuzione degli investimenti. Per questo motivo invita i governi europei ad adottare con urgenza programmi che sostengano formazione, lavoro e impresa per i più giovani.
Tuttavia, gli osservatori più attenti, come il Financial Times, già tentano di prevedere come tutto questo influirà sulle prossime generazioni. In un’analisi di medio e lungo periodo sul fenomeno dei cosiddetti Neets (not in employment, education or training), i giovani totalmente inattivi, quelli che non lavorano, non studiano, né fanno formazione, il quotidiano finanziario inglese si chiedeva quanto questa situazione peserà economicamente sul futuro, sulle famiglie di domani e dunque sulle possibilità di una ripresa effettiva.
Un sondaggio d’opinione condotto dalla Confederazione sindacale internazionale (ITUC) conferma che nello scenario globale stanno crescendo una profonda insicurezza, paura e impotenza politica. Si tratta del primo sondaggio d’opinione condotto su scala globale, in metà delle economie del G20.
I dati sono eloquenti: il 58 per cento delle persone ritiene che il proprio paese stia andando nella direzione sbagliata e il 66 per cento ritiene che le prossime generazioni staranno peggio di quella attuale. Non solo. Per 67 persone su 100 le banche e le istituzioni finanziarie internazionali hanno un’influenza eccessiva sulle decisioni economiche dei propri governi mentre gli elettori non ne hanno abbastanza.
In sostanza, l’ortodossia economica globale è ampiamente rifiutata dalla maggior parte della popolazione e questa crescita di opinioni anti governative e anti austerità in così tanti paesi dovrebbe portare a un ripensamento urgente a livello globale.

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