Conversazione con Giuliano Poletti
Conversazione con Giuliano Poletti

L’Onu ha indetto per il 2012 l’Anno Internazionale delle Cooperative. L’iniziativa è stata lanciata lo scorso 12 gennaio in tutto il mondo. In Italia, è passata decisamente in sordina. Segue …

Eppure, è l’occasione per riflettere, attraverso la cooperazione, su una diversa economia e su un’altra società. Pino Salerno per www.paneacqua.eu  ne ha parlato lungamente con Giuliano Poletti, presidente della Legacoop nazionale

Da molto più di un secolo, la realtà e la consistenza economica del movimento cooperativo, in Italia come nel resto del mondo, sono note a tutti, agli economisti e alle persone comuni. La partecipazione delle cooperative al prodotto interno lordo degli stati e al mantenimento di elevati standard occupazionali è quantitativamente notevole e raggiunge cifre considerevoli. Tuttavia, le teorie economiche dominanti, soprattutto quelle del capitalismo liberale, considerano il movimento cooperativo come figlio di un dio minore, una sorta di incidente storico, un inciampo tra "le magnifiche sorti e progressive" della ideologia delle imprese private (si pensi solo alle teorie di Joseph Schumpeter). Le ragioni di questa intenzionale sottovalutazione ce le spiega Giuliano Poletti, presidente di Legacoop nazionale, nel corso di una lunga conversazione, che qui siamo costretti a riportare in sintesi per ovvie ragioni di spazio, e che tuttavia apre uno squarcio di estremo interesse nelle nostre riflessioni sulla teoria sociale, sul pensiero economico e sulla cultura generale di un popolo, di una nazione, di un continente.
"Esiste una differenza generale tra il movimento delle cooperative e la struttura delle imprese private", esordisce Poletti. Insomma, esiste, da un secolo e mezzo, una questione ontologica, che rivela identità e differenze del movimento cooperativo. "C’è, oggi, un’organizzazione mondiale delle cooperative, la ICA, International Cooperative Alliance, presieduta da Pauline Green, storica esponente del movimento cooperativo britannico ed ex leader del Partito Socialista al Parlamento europeo. Essa sta compiendo lo sforzo di fissare il sistema di valori e di regole per i quali si struttura l’identità stessa di una cooperativa in maniera omogenea in tutto il mondo. Si parte dalla regola della Democrazia interna a ciascuna cooperativa, secondo il dettato di una testa un voto. Si insiste sul valore dell’obbligo mutualistico, che impone di tenere nel giusto conto i bisogni dei soci, senza alcuna discriminazione. Si esalta il valore dell’autogoverno interno a ciascuna cooperativa e nelle associazioni di cooperative, per il quale i soci scelgono il governo della propria impresa cooperativa. Si sostiene la cooperazione tra le cooperative, secondo un sistema di scambio e di tutele fondate sul principio della solidarietà. E infine, si rendono obbligatorie le cosiddette riserve indivisibili – in Italia lo sono per legge – secondo le quali il profitto eventuale viene reinvestito nella stessa impresa cooperativa, per innovare, formare, progettare solidarietà. Le regole e i valori delle imprese cooperative, come si vede, sono distanti anni luce dai principi economici delle imprese private, e prefigurano una diversa concezione della società".
Qui, la riflessione di Poletti, sempre molto lucida, si orienta verso l’attualità della crisi del sistema capitalistico globale. "La crisi", sostiene il presidente di Legacoop nazionale, "ha evidenziato che le categorie e i paradigmi della scuola economica classica hanno manifestato notevoli limiti. Serve una diversa visione della vita umana, della società. Intanto, è necessario porre fine alla deriva individualistica del moderno capitalismo liberale, nel quale il sistema dell’accumulazione originaria premia i pochi privilegiati e relega ai margini tutti gli altri". Insomma, per uscire dalla crisi evitando che sul terreno restino tanti, troppi cadaveri, ci dice Poletti, "è utile gettare nella riflessione generale, nell’opinione pubblica, l’intuizione che proviene da alcuni studiosi importanti e che sta allargandosi ovunque. Quella, cioè, del cosiddetto Coopcapitalism". Ovvero? "Lo dice Bauman con una splendida metafora e lo sostiene Latouche in un libro recente. Il possesso delle cose, nella crisi del capitalismo maturo di questi anni, non è più un valore, diventa elemento pilotato nella psicologia delle masse. La metafora di Bauman vuole che a Natale, quando pensiamo ai regali per i nostri figli, predomini il criterio di scelta dettato dal senso di colpa. Durante l’anno la relazione coi figli (ma vale per tutti i nostri cari) è dettata da scarsità di tempo e di cura. Perciò, la scelta di regalare il telefono cellulare di ultima generazione serve a tacitare il proprio senso di colpa, piuttosto che regalare la felicità. Il tempo e la cura sono i veri valori fondativi nelle relazioni umane. E poiché sono risorse scarse, quando non si assumono come tali, vengono scambiate con le cose, più o meno preziose, più o meno utili, più o meno simboliche. Fuor di metafora, uscire dalla crisi, significa investire in un altro modo di considerare le relazioni tra gli esseri umani e tra gli esseri umani e le cose, che si consumano". Cosa ciò voglia dire, dal punto di vista delle iniziative concrete, nell’anno internazionale dedicato alle cooperative, Poletti lo dice con molta chiarezza.
"Intanto, vogliamo sollecitare le Istituzioni a dare maggiore ascolto al movimento cooperativo, e ad assumerlo come soggetto sociale ed economico decisivo. È anche per questo che da un anno abbiamo dato vita, anche in Italia, all’Alleanza delle cooperative, riunendo le tre grandi centrali cooperative, la Confcooperative, l’Agci e la Legacoop, in una grande e unitaria strategia di rilancio, dei nostri valori, delle nostre regole, e soprattutto del nostro modo di considerare la società aperta. Nel concreto, ciò significa una forte accentuazione del piano della comunicazione. Cosa intendiamo fare? Intanto, lanciare sul Web una grande e straordinaria iniziativa che abbiamo chiamato Una storia al giorno. Vogliamo raccontare le storie dei soci delle nostre cooperative, in ogni parte d’Italia, di quei soci che, ad esempio, gestiscono in modo straordinario le terre confiscate alle mafie, o che a Scampia dirigono una splendida realtà radiofonica, o che al Nord inventano le imprese cooperative per l’ecosostenibilità.
nsomma, il nostro movimento è uno straordinario patrimonio, non solo per il nostro Paese. È opportuno che ora abbandoniamo le nostre timidezze e lanciamo la sfida, non solo alle Istituzioni politiche, ma anche alle Accademie e ai centri scientifici, dove si elaborano le teorie economiche. Chiediamo di essere ascoltati, per ciò che siamo, per la storia delle nostre cooperative e per un modello diverso di economia e di società che proponiamo".
Insomma, secondo Poletti, il modello economico che il movimento cooperativo vorrebbe far emergere nell’anno internazionale della cooperazione è legato a questa considerazione, "se la crisi è globale, la risposta non può che essere l’organizzazione del micro, della vicenda comunitaria. Non è un caso che ci occuperemo del rilancio delle cooperative di comunità e proporremo la costituzione delle cooperative del sapere, quelle che raccolgono giovani neolaureati su progetti comunitari sostenibili e compatibili. Come si dice dalle mie parti, la logica è quella di non attendere risposte dall’alto, dal sistema, ma di legarsi gli scarponi e di provarci. I soci di ogni cooperativa sono consapevoli del fatto che ciò che va bene per uno va bene per tutti, in un meccanismo di accentuata solidarietà, tra persone e tra cooperative. Il capitalismo cooperativo mette davvero in pratica la convinzione secondo la quale da questa crisi si esce solo con la fine degli egoismi e dei privilegi, frutti del capitalismo liberale e delle corporazioni". È utopia? Forse, ma l’epopea della cooperazione perdura e resiste da quasi un secolo e mezzo, pur con qualche scalfitura e qualche incidente. Forse, come dice il presidente Poletti, è davvero giunto il momento che quel modello di capitalismo cooperativo entri nell’agenda politica, soprattutto della sinistra, vecchia e nuova, proprio nell’anno internazionale che l’Onu dedica alle cooperative.

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