La proposta della CGIL : ridurre a cinque le forme contrattuali
La proposta della CGIL : ridurre a cinque le forme contrattuali

La proposta della CGIL, in attesa del tavolo per la riforma: oggi le forme sono 46, le peggiori lavoro a chiamata e staff leasing. Puntare su apprendistato come canale d’ingresso. Dossier di Rassegna.it. Segue …

“Oggi in Italia sono 46 le modalità contrattuali che permettono l’accesso al mondo del lavoro (link). Nel giorno dell’intervento di Napolitano su questo tema, la riforma del mercato del lavoro, la Cgil diffonde uno studio riassumendo la situazione attuale e indicando la ricetta per migliorarla. Con un punto fermo: la flessibilità nel nostro paese, ribadisce il sindacato, "non ha pari in altri ordinamenti".

Le 46 "strade" per entrare sul mercato, infatti, sono divise fra rapporti di lavoro subordinati, parasubordinati, speciali e autonomi, e che determinano una "eccessiva flessibilità in entrata che potrebbe limitarsi a 5 tipologie". Il sistema quindi è "caratterizzato da una eccessiva flessibilità".

Lo studio della Cgil ripercorre in maniera puntigliosa l’intero universo delle tipologie contrattuali previste dall’ordinamento italiano ma, avverte, "deve essere interpretato in maniera corretta". Le modalità di rapporti sono 46, ma le tipologie contrattuali che le racchiudono sono quattro: i rapporti di lavoro subordinati, parasubordinati, autonomo e i rapporti di lavoro speciali.

Una mole enorme di modalità di accesso che rende possibile questo ulteriore dato: "Su 100 assunzioni soltanto 18 sono a tempo indeterminato" sostiene Claudio Treves, responsabile del dipartimento Mercato del lavoro di corso d’Itala e curatore della ricerca.

Le forme sono così divise: 26 per i rapporti di lavoro subordinato, 4 per i parasubordinati, 5 per i rapporti di lavoro autonomo e 11 per i rapporti speciali, tra cui sei tipi di rapporti part-time (ovvero subordinati). "Un tipo di contratto assolutamente legittimo e ragionevole, se volontario", osserva ancora Treves che aggiunge: "Avrebbe bisogno di una razionalizzazione e di manutenzione dopo i peggioramenti introdotti dal governo di centrodestra".

Soprattutto due forme, secondo la Cgil, sono "fonte di precarietà strutturale": il lavoro a chiamata, in tutte le sue declinazioni, e lo staff leasing, ovvero la somministrazione a tempo indeterminato. Ce ne sarebbe anche una terza ma, specifica l’indagine, "la formula job sharing è solo una materia per gli studiosi che per le persone in carne ed ossa".

Il mondo dei parasubordinati è "un’area di colossale elusione". In particolare "le collaborazioni a progetto, quelle occasionali, le partite Iva, sono trucchi per pagare meno e per avere più flessibilità". Il culmine di questa operazione di elusione, secondo Treves, "è rappresentato dagli associati in partecipazione. Sono apparentemente dei lavoratori autonomi che dovrebbero dividere con i loro associanti i frutti dell’impresa ma che in realtà il più delle volte sono lavoratori subordinati costretti spesso a pagare le perdite, come accade nel commercio dove se ne sta facendo largo uso".

Bisogna ridurre le forme di lavoro precario e portarle a cinque. Questa la richiesta della Cgil, che spiega quali devono essere: il lavoro a tempo indeterminato, l’apprendistato, il contratto di inserimento (o di re-inserimento), un tipo di rapporto a termine e il part time. Nel dettaglio, aggiunge, "il lavoro a tempo indeterminato deve continuare ad essere la forma comune dei rapporti di lavoro; l’apprendistato deve essere lo strumento principe di ingresso per i giovani nel mondo del lavoro; il contratto di inserimento, che noi vorremmo declinare in contratto di reinserimento, che deve servire per includere nel mercato del lavoro chi ne è stato escluso; un contratto a termine per le fluttuazioni dell’organizzazione del lavoro; il part time per le cose dette".

Il sindacato si sofferma quindi sull’ipotesi del "contratto prevalente". "Bisognerebbe capire cos’è – osserva Treves -, perché per adesso non si capisce che rapporto dovrebbe avere con l’apprendistato. Quest’ultimo è per noi il vero contratto di ingresso al lavoro. Al suo interno c’è uno scambio: costa di meno alle imprese, sia dal punto di vista contributivo che salariale, giustificato dal fatto che il lavoratore sta imparando un mestiere mentre la collettività si fa carico della sua formazione".

Ecco dunque le proposte della Cgil, in attesa dell’avvio del confronto con il governo Monti: ridurre drasticamente le tipologie di lavoro, fare dell’apprendistato il canale di ingresso per colmare le diseguaglianze, dare soluzione al tema dell’unificazione del lavoro.”

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