La pastorizia non regge
La pastorizia non regge

La crisi della pastorizia e dell’intero comparto zootecnico in Sardegna, analizzata da uno stimato osservatore economico che ama firmarsi con lo pseudonimo “Agricola”. Ringraziamo l’autore e la redazione di www.area89.it per l’autorizzazione alla pubblicazione.

"Ma veniamo al che fare: soltanto un irresponsabile può pensare di chiudere la partita cancellando 13.000 aziende e un’attività che apporta più della terza parte dei valori prodotti dal primario in Sardegna.   L’allevamento ovino non va cancellato ma profondamente cambiato, mettendo in campo progetti, ricerca, managerialità e anche investimenti. Il punto di partenza è capire che non ci sono prospettive se non si organizza la filiera, dall’erbaio al punto vendita del prodotto finito. Che non si può continuare a vivere producendo pecorino romano e pretendendo che sia la Regione a coprire i buchi di bilancio. La crisi della pastorizia creerà certamente qualche sconquasso ma può, alla fine, sfociare in un risultato positivo se si riuscirà ad affermare il principio che il territorio dell’Isola è patrimonio di tutti i sardi e che su questo milione di ettari, avviliti da una secolare monocoltura, si può intervenire con una molteplicità di iniziative: rilanciando le coltivazioni, sviluppando altre forme d’allevamento, organizzando il bosco, sfruttando le possibilità che offrono in il turismo e le energie rinnovabili. L’ISTAT ci dice che oggi l’agricoltura contribuisce alla formazione del PIL isolano per il 3% dei valori e questa è una percentuale assurda, che rivela quanto il territorio sia sfruttato in maniera inadeguata e primitiva. In un quadro di riqualificazione anche l’allevamento ovino può fare la sua parte, ma a condizione che si capisca che il mercato col quale dovremo competere non è quello  “povero” del  formaggio da grattugia per gli Stati Uniti. Dovremo misurarci in Europa e vedercela con l’Emmental, i 500 formaggi francesi, il gorgonzola e il parmigiano. Ecco, il confronto tra pecorino romano e formaggi europei ci aiuta a precisare il concetto. Quello che dobbiamo fare, tutti i sardi assieme, è uno sforzo che consenta il salto di qualità. Un buon modo di cominciare sarebbe quello di iniziare a combattere l’armamentario di luoghi comuni che sono stati costruiti attorno alla ovinicoltura.  Smettere di raccontare che quel settore è la spina dorsale della nostra economia, che i pastori costituiscono il nerbo della civiltà e dell’intera cultura sarda, che perdendo la pastorizia perderemo anche l’identità  di sardi, ecc, ecc. Questi discorsi possono consolare i nostalgici de “su connotu” ma non aiutano a produrre reddito e occupazione (di Agricola per www.area89.it)."


In allegato il testo integrale. 

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