Divisa, marginale, sclerotizzata: per le élite cinesi, l’Unione europea non è degna di partecipare ai nuovi equilibri che si stanno formando tra le potenze mondiali, scrive De Morgen.
Perché perdere tempo in Europa, si è chiesto il vicepresidente cinese Xi Jinping atterrando all’aeroporto di Bruxelles. Non c’è petrolio, non ci sono riserve minerarie, nessun incontro per discutere di stabilità economica, né partner con cui risolvere questioni delicate come quella iraniana o della Corea del Nord. Perché allora questo viaggio? Per visitare un museo!
Più di un secolo fa, gli investitori belgi che arrivavano in Cina per rapinarla delle risorse naturali o per accaparrarsi gli appalti delle infrastrutture erano accolti con tutti gli onori. Oggi per i cinesi l’Unione europea è praticamente inesistente, non la consultano nemmeno su questioni importanti come la proliferazione nucleare, la stabilità in Africa o la riforma delle istituzioni internazionali. Formalmente, Europa e Cina hanno diversi canali di dialogo istituzionale, ma non ci sono i contenuti, e non si arriva mai a risultati concreti. Non è che la Repubblica Popolare non apprezzi le relazioni strategiche, ma è l’Europa che non sa più giocare un ruolo significativo.
Un partner poco rilevante
Meglio puntare sulla cooperazione economica, ha pensato Bruxelles. L’Unione è il primo mercato d’esportazione per la Cina, e anche la fonte principale di esperienza tecnologica. Ma il punto è che l’Europa non riesce ad avere un peso politico pari al suo peso economico. La Commissione può decidere sulla vendita di merci, ma i ventisette non riescono a trovare un accordo e a intraprendere una politica comune di cooperazione economica con la Cina. I capitali europei preferiscono dividersi a seconda delle loro competenze specifiche su ricerca e investimento, e così Pechino può usarli gli uni contro gli altri in funzione dei suoi interessi.
Gli esperti e i funzionari cinesi lamentano l’incapacità dell’Europa di combattere la crisi e la sua mancanza di innovazione. L’economia del sapere ristagna, i politici fanno investimenti miopi che privilegiano la tutela dell’impiego a breve termine. Secondo i cinesi, se non ci saranno riforme economiche degne di nota all’Europa non rimarrà che difendere il suo mercato dalla concorrenza internazionale.
Da potenza a museo
Almeno, si pensa, l’Europa rimane sempre un buon esempio nel campo delle politiche sociali e dello sviluppo sostenibile. Ma una ricerca dell’Accademia cinese di scienze sociali (Cass) dimostra che non è più così, e anche in questi ambiti i cinesi guardano sempre meno al vecchio continente. Oggi i cinesi hanno la possibilità di visitare l’Europa e di misurare lo scarto tra ideali e realtà. Molti, abituati alle critiche europee alla politica cinese in Tibet, rimangono esterrefatti per la segregazione etnica e il degrado urbano che osservano in Europa.
Gli esperti cinesi si domandano poi se il modello sociale europeo resisterà ai prossimi colpi della crisi. Il professor Ding Chung, che insegna a Shangai, ha fatto notare che l’insistenza sulla sicurezza frena la mobilità sociale indispensabile per le riforme. Inoltre, la cultura dell’assistenzialismo sociale impedisce agli europei di vedere che le fonti di ricchezza si assottigliano sempre di più. Per i cinesi, l’Europa non solo è piena di bellissimi musei, ma rischia di diventare lei stessa un grande museo. Oggi, prima ancora che i giochi di potere per la riorganizzazione dell’ordine mondiale siano cominciati, il suo ruolo appare già marginale. Questo non significa che le nuove potenze, come la Cina, non abbiano problemi.
Le ragioni del successo economico della Repubblica Popolare cominciano a indebolirsi, e la modernizzazione politica del paese non avanza. Queste incertezze dovrebbero spingere le vecchie potenze a difendere i propri interessi, e l’Europa a fare di più.