Ringraziamo Antonio Carta per aver accettato di rispondere alle nostre domande. Crescente preoccupazione per il presente ed il futuro dell’economia sarda; tuttavia, fiducia ed una valutazione cautamente positiva sulla capacità di tenuta delle cooperative.
Ringraziamo Antonio Carta, Presidente di Legacoop Sardegna, per aver accettato di rispondere alle nostre domande.
Dai principali indicatori emergono segnali preoccupanti per la nostra economia regionale. Qual è la tua valutazione ?
Non solo Legacoop ma l’insieme delle associazioni di categoria sono unanimi nel segnalare l’asprezza delle difficoltà che segnano l’economia regionale e la pesantezza della profonda crisi di un modello di sviluppo che, dal Sulcis a Portotorres passando per la Sardegna centrale, si è affidato in questi decenni ad una ipotesi di industrializzazione pesantemente assistita dalla mano pubblica, scollegata dalle vocazioni del territorio e che è sostanzialmente fallita.
Da anni assistiamo a cambiamenti improvvisi degli assetti proprietari delle aziende industriali, a dinamiche di spostamento di capitali che appaiono guidate più da interessi speculativi che da una logica di sviluppo economico e ancor meno da un impegno alla crescita dei territori. Siamo anche preoccupati per il rischio di ulteriori degenerazioni dei meccanismi di assistenza alle imprese, che avrebbero bisogno di certezze piuttosto che interventi emergenziali e discrezionali. Tutto ciò ha prodotto costi sociali drammatici, in termini di livelli occupazionali, spopolamento di intere aree, disperazione individuale e crescita della sfiducia. Non vi è dubbio che questi costi sociali devono essere assolutamente fronteggiati, anche attraverso il ricorso agli ammortizzatori sociali, ma nessuno può esimersi dal ricercare una via d’uscita per lo sviluppo che francamente non può che basarsi principalmente sulle risorse che offre la nostra Isola.
In questo quadro complicato, qual’è lo stato di salute della cooperazione in Sardegna?
Bisogna distinguere. Fino alla prima metà di quest’anno, la cooperazione, in Sardegna come in Italia, ha resistito meglio di altre imprese ai colpi della crisi economica e finanziaria. La cooperazione sta dimostrando con i fatti di voler e saper tutelare il lavoro. La spiegazione è semplice, anche se sono le cose semplici le più difficili da farsi: il vincolo del reinvestimento in azienda degli utili prodotti ci aiuta ad andare nella direzione più giusta. I ricorsi agli ammortizzatori sociali sono stati relativamente pochi e siamo felici che, in qualche caso, la crisi è rientrata ancora prima di attivare la cassa integrazione. Finora, insomma, la cooperazione sarda ha retto, soprattutto nell’agroalimentare e nell’edilizia, all’onda lunga della crisi.
Per il futuro, però, esprimo preoccupazione. In diversi mercati la ripresa dell’economia cooperativa è pesantemente condizionata dai riflessi anche internazionali della crisi e dalla lentezza della ripresa dei consumi. Faccio due esempi per maggiore chiarezza: quello del pecorino romano e quello dell’edilizia. Si sa che il pecorino romano viene quasi interamente assorbito dal mercato statunitense, ma la contrazione pesante dei consumi negli USA e il calo verticale del valore del dollaro contro l’euro stanno lasciando quintali e quintali di romano invenduti nei magazzini, con l’aggravante che gli intermediari commerciali premono sui produttori per un ulteriore calo dei prezzi, quando già i costi di produzione vengono coperti a fatica. L’altro esempio è quello delle case edificate dalle cooperative edili (sia di costruzione che di utenza), che restano invendute perché la domanda è ferma. Da tutto ciò occorre trarre alcuni insegnamenti.
Primo: il mercato, anche quello in cui operano le nostre cooperative, è per davvero internazionalizzato, dobbiamo farci i conti ed attrezzarci per competere meglio con altri sistemi e con altri produttori.
Secondo: occorre che le politiche pubbliche seriamente si orientino verso una ripresa generale dell’economia, il che non si può dire che si stia facendo nella misura ed intensità necessarie.
Terzo: occorre riorganizzare la produzione. Dobbiamo tutti capire che non possiamo stare fermi ad aspettare che la crisi si risolva da sola o che lo sforzo di superarla non ci coinvolga. L’attendismo sarebbe la scelta più dannosa.
La verità è che è necessario innalzare verticalmente la qualità sia dei prodotti che dei processi produttivi delle nostre aziende. Per stare all’esempio dell’edilizia, occorre investire – come si stà iniziando a fare – sull’efficienza energetica degli edifici, sulla bioedilizia, sull’abbattimento delle barriere per tutti come una scelta che misura la civiltà ed i diritti; insomma, sulla qualità complessiva dell’abitare. Nessuno può ignorare, neanche nel nostro movimento, che l’economia cooperativa subisce un fortissimo condizionamento cui non si può resistere chiudendoci in noi stessi. D’altro lato, è essenziale che ad agire sia l’intero sistema regionale, a partire dalla Giunta e dal Consiglio regionale: le associazioni di categoria e le organizzazioni sindacali stanno chiedendo politiche di sostegno alle imprese, all’occupazione ed allo sviluppo. Gli ammortizzatori sociali sono necessari ma non sufficienti. In questa prospettiva, esprimo la massima preoccupazione per il futuro: nulla è scontato e moltissimo dipende dall’azione della Regione. Faccio l’esempio della annosa questione del sistema bibliotecario e archivistico in Sardegna, alle cui difficoltà costantemente denunciate anche da parte nostra non viene data risposta né da destra né da sinistra né dal centro. Eppure, in quell’ambito sono coinvolte centinaia di lavoratrici e lavoratori, molte cooperative, decine di migliaia di cittadini utenti dei servizi …
Sapendo di interpellarti su problematiche cui sei sempre stato attento, quali sono le tue valutazioni sulla cooperazione sociale nella nostra regione ?
La cooperazione sociale in Sardegna ha raggiunto, nel suo complesso, un livello di sviluppo capillare e il ruolo che essa esercita è straordinario sia sul terreno dell’occupazione sia su quello, altrettanto significativo, dei servizi offerti alle comunità locali, alle quali la cooperazione assicura la gran parte dei servizi alla persona istituiti dai Comuni. La sfida con cui la cooperazione sociale deve fare i conti è quella di diventare impresa. Abbiamo bisogno che la cooperazione sociale si rafforzi e costruisca imprese vere, libere dal singolo appalto, che siano strumenti seri e robusti per l’occupazione delle donne e dei giovani. Imprese che sappiano cogliere i bisogni dei cittadini, reinterpretarli anche offrendo risposte nuove nel vuoto lasciato dalla crisi del welfare pubblico. Contemporaneamente occorre dare piena legittimazione allo sforzo che la cooperazione sociale già esercita, affermando con chiarezza che la ricchezza e la felicità di un paese non si misurano solo attraverso il PIL ma anche attraverso gli indicatori di benessere sociale che devono essere rinvenuti nella condizione di vita individuale e collettiva delle nostre comunità. Non è indifferente per la vita di una comunità locale poter contare, oppure no, su un servizio di assistenza agli anziani ed ai disabili almeno dignitoso, su un asilo nido, su una residenza assistita. Questo fa la differenza per migliaia di famiglie, in pratica per tutti. Alle nostre cooperative sociali dobbiamo chiedere di non stancarsi, di innovare, di aggregarsi, di fare della qualità della vita sociale il terreno della sfida che esse rivolgono a se stesse ed alle istituzioni locali. Certo, la frammentazione non le aiuta, anzi produce la loro debolezza. Piccoli non è sempre bello e non sempre funziona.
Quali valutazioni hai sull’azione della nuova Giunta regionale, alla luce dei primi mesi di governo e della proposta di piano regionale di sviluppo recentemente approvato ?
Guarda, ricordo con precisione le ultime fasi dei confronti avuti con la precedente Giunta regionale, quando ci veniva prospettato uno scenario ricco di opportunità, rese possibili da uno sforzo di risanamento del bilancio regionale che aveva permesso di ipotizzare scelte importanti, fondate su risorse in vario modo rese disponibili. Il primo atto dell’attuale Giunta, nei confronti avuti sin dai primi mesi, è stato quello di comunicarci il pessimismo più nero sullo stato delle risorse disponibili alla manovra della Regione sarda. Devo ammettere il più totale sconcerto: le forze politiche che si alternano alla guida dell’istituzione regionale non possono rappresentare in modo così straordinariamente divaricato una realtà, quella dei bilanci e dei numeri finanziari, che dovrebbe essere invece caratterizzata da qualche elemento di oggettività e di certezza amministrativa. Certezza che dovrebbe, almeno in qualche minima misura, essere indipendente da “chi governa ora”. Ti assicuro che l’effetto che tutto ciò produce sulla possibilità di un confronto “ragionevole” è devastante. La volatilità delle risorse assegnate a questo o a quell’intervento, basti pensare all’esempio del completamento della strada di collegamento tra Sassari e Olbia, realizza un dato sconcertante. Manca la minima certezza amministrativa. Per quanto siano eventualmente lodevoli gli obiettivi fissati dal piano di sviluppo, tutto viene consegnato alla aleatorietà, proprio per questa cattiva abitudine delle forze politiche a non concentrarsi sulla sfide comuni e per la perdurante incapacità dell’amministrazione regionale a porsi al servizio dello sviluppo, dei cittadini e delle imprese.
Alcuni anni fa, intorno alla vertenza della restituzione di quote delle entrate fiscali alla Regione, si è realizzata in Sardegna una straordinaria convergenza delle forze sociali a sostegno di un disegno di rilancio della nostra economia e della stessa autonomia regionale sarda. Oggi occorrerebbe ricostruire una simile convergenza che, aldilà delle legittime differenze legate alla rappresentanza di interessi diversi, permetta di realizzare una nuova unità e di superare le divisioni, che in una regione come la nostra producono effetti nefasti. Per chiarire meglio cosa intendo, invito a riflettere sulla questione dell’uso e della tutela del territorio. E’ a me ben chiaro che non si può musealizzare il paesaggio, il territorio nel quale dobbiamo pur vivere, produrre, generare economia. Ma deve essere altrettanto chiaro che il nostro ambiente è una risorsa non riproducibile, non sperperabile in nome di interessi, pur legittimi, ma contingenti. Come si fa, dico io, a proporre la realizzazione di parchi eolici sul mare, a ottocento metri dalla riva, in una condizione in cui – peraltro – la nostra regione è già autosufficiente sul piano della produzione energetica ? E’ chiaro che uno degli effetti della crisi è che si viene tutti spinti a concentrarci sulle opportunità immediate di investimento, trascurando le prospettive dello sviluppo, ma bisogna resistere a questa deriva. La cooperazione intende collocarsi su questo terreno e contribuire a trovare l’equilibrio tra le diverse esigenze di sviluppo, di occupazione, di tutela delle risorse naturali. Alle altre rappresentanze sociali sia delle imprese sia dei lavoratori diciamo che siamo più che disponibili, siamo interessati a ragionare su questo terreno ed a ricercare il massimo livello di convergenza necessario.
Alcuni mesi dopo la conclusione della vicenda politica della giunta regionale di centro-sinistra culminata con la sconfitta della coalizione presieduta da Renato Soru, quali valutazioni esprimi sull’iniziativa messa in campo dalle forze sarde del centro-sinistra ?
Mi chiedo a quale iniziativa possa fare riferimento la tua domanda … lo scenario è preoccupante. Sono costretto a registrare una debolezza spaventosa delle forze del centro-sinistra e la loro totale assenza di iniziativa. Mi chiedo perché le rappresentanze politiche del centro sinistra non sentano l’esigenza di aprire un confronto con le forze sociali, con le associazioni di categoria, proprio a partire dai problemi della crisi economica. Ciò non avviene e posso assicurarvi che non sono attivi tavoli né formali né informali di discussione. Guardo con preoccupazione alle dinamiche di autoreferenzialità che segnano le forze politiche del centro sinistra sardo.
Quale messaggio vuoi rivolgere alle cooperative sociali ed alle migliaia di operatrici e di operatori sociali che, pur tra mille difficoltà, garantiscono il funzionamento del welfare in Sardegna ?
Voglio evitare ogni retorica.
Occorre difendere con le unghie e con i denti le realizzazioni già compiute sul terreno dell’occupazione e su quello dei servizi alla persona, sapendo che difenderemo meglio il lavoro e i servizi se li abbracceremo con un unico sguardo. Ogni azione di difesa delle risorse investite per le politiche sociali sarà più semplice se sapremo rafforzare la qualità dei servizi. Occorre un grande sforzo di tutti, sul terreno della formazione, dello studio e della ricerca, sapendo che la cooperazione è la forma di impresa che più di tutte impegna a pensieri lunghi e ad uno sguardo intergenerazionale. Nessun investimento sul futuro per noi può essere considerato un lusso o peggio uno spreco. Certo, occorre superare la cultura dei campanili, abbatterla anche sul piano simbolico e crescere, rafforzando la capacità di impresa delle cooperative. Io vedo segnali positivi e, seppure viviamo tempi difficili, sono fiducioso che possiamo andare avanti.
Quale valutazione proponi sul ruolo presente e futuro delle rappresentanze collettive degli interessi economici e sociali nel confronto con la Regione sarda ?